Nel 1990 Elio Fiorucci chiudeva ogni rapporto con Fiorucci S.p.A. L’azienda, in un grave stato di crisi economica e finanziaria, veniva rilevata da Edwin Co. Ltd. ed Edwin International GmbH, che acquisivano i numerosi marchi denominativi e figurativi contenenti il pregiato patronimico. Detti marchi venivano, quindi, concessi in licenza a Fiorucci Design Office S.r.l. incaricata della distribuzione sul mercato italiano dei prodotti del marchio.

Tra il 2002 ed il 2010, Elio Fiorucci ed alcune società al medesimo collegate, registravano diversi marchi contenenti il nome dello stilista, quali “Love Therapy Collection by Elio Fiorucci”, “Tout doucer by Elio Fiorucci” e “by Elio Fiorucci”. I marchi venivano utilizzati in numerose ambiti: abbigliamento, insegne di negozi e attività di merchandising in genere.

Venivano, quindi, incardinati numerosi procedimenti, anche di fronte ad enti differenti, al fine di ottenere tutela dei propri diritti di privativa. Prima l’UAMI, poi l’UIBM, la Commissione dei Ricorsi e la Corte di Giustizia Europea.

Particolarmente interessante è notare come i diversi organi, giurisdizionali ed amministrativi, abbiano valutato, con riferimento alla medesima fattispecie, profili assai differenti, pervenendo a decisioni disomogenee. L’UAMI, ad esempio, si limitava ad una valutazione sulla base delle consolidate regole in materia: analisi visiva, fonetica e concettuale dei segni e loro valutazione confusoria globale, esprimendosi, in numerose occasioni, in favore dello stilista. La Commissione dei Ricorsi motivava la propria pronuncia sulla base dell’art. 21 CPI, statuendo che “parole od espressioni quali “by”,”designed by”, “disegnato da” e simili, adottando un diverso rilievo grafico od inserendo il nome in posizione defilata rispetto ad un più ampio contesto figurativo” possono rappresentare varianti sufficienti a diversificare i marchi a confronto. La Corte di Giustizia, ancora, si soffermava sull’interpretazione del disposto di cui all’art. 8, n. 3, CPI.

I procedimenti insorti avanti i Tribunali italiani sono anch’essi numerosi e traggono epilogo proprio nella succitata decisione della Suprema Corte. In particolare le società titolari dei “vecchi” marchi “Fiorucci” convenivano in giudizio lo stilista, in più occasioni, avanti il Tribunale di Milano, eccependo, tra le altre cose, la contraffazione e la violazione delle proprie privative, nonché profili di concorrenza sleale per imitazione confusoria, appropriazione indebita di pregi e scorrettezza professionale.

I primi due gradi di giudizio

In circostanziate pronunce, il Giudice di prime cure dimostrava di tenere in forte considerazione il carattere confusorio dei marchi registrati dallo stilista, sancendone l’illegittimità. In altro parallelo giudizio, tuttavia, il Tribunale di primo grado si pronunciava a favore del legittimo uso del marchio “Love Therapy by Elio Fiorucci”. In particolare, si rilevava come tale segno non potesse considerarsi in contraffazione dei marchi anteriori “Fiorucci”, in quanto utilizzava il cognome insieme al nome dello stilista ed impiegava la particella “by” indicando l’intervento personale del creativo, il tutto in una posizione defilata rispetto alle parole “Love Therapy”. Pertanto, secondo il Tribunale, il patronimico “Fiorucci” sarebbe stato utilizzato legittimamente, in quanto avente funzione descrittiva e non di marchio.

La decisione veniva confermata in Corte d’Appello. Il Giudice di seconde cure aggiungeva, tuttavia, ulteriori considerazioni: la cessione dei diritti sarebbe avvenuta tra il liquidatore di Fiorucci S.p.A. e le società Edwin Co. Ltd. ed Edwin International GmbH, lasciando del tutto esterno al rapporto giuridico il noto stilista il quale, già antecedentemente all’operazione, aveva abbandonato ogni carica sociale e ceduto le proprie quote. Tali circostanze avrebbero mantenuto intatto il diritto personalissimo al nome del designer, come garantito dall’art. 22 Cost. e dall’art. 6 c.c. nonché dalla CEDU. In ragione di ciò, detta cessione di marchi avrebbe determinato il trasferimento alle società acquirenti dei diritti sulle sole creazioni già realizzate dal designer.

Sulla questione, è quindi intervenuta, recentemente, anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10826 del 25 maggio 2016.

Dott. Luca Mansi