Cassazione penale, sez. II, 27/10/2020, n. 29791
SENTENZA
(Presidente: dott. Domenico Gallo – Relatore: dott. Massimo Perrotti)
sul ricorso proposto nell’interesse di: CAVALLI Giovanni, n. a Faenza il 17/1/1949,
avverso
la sentenza del 10/1/2019 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso con allegati;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Perrotti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Ettore Pedicini, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
udito il difensore della parte civile, avv. Gabriele Lazzaretti, in sostituzione dell’avv. Roberta Marconi, che ha illustrato e depositato conclusioni scritte e sentenza della Corte di giustizia dell’Unione in lingua , oltre la nota spese;
udito il difensore del ricorrente, avv. Delia Fornaro, che si è opposto alla produzione documentale della parte civile (anche perché redatta in lingua straniera) ed ha illustrato i motivi di ricorso, concludendo per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Il tribunale di Imola, con la sentenza emessa in data 17 luglio 2013, aveva riconosciuto la responsabilità dell’imputato per il reato di ricettazione (circostanziato dalla particolare tenuità) e per quello di detenzione finalizzata alla vendita di prodotti industriali (alcune centinaia di mq. di tessuto stampato con disegno a rilievo Daimer e Daimer Azur) recanti marchi o segni distintivi contraffatti, già registrati nella UE dalla maison Louis Vuitton Malletier, e, avvinti i detti reati sotto il vincolo della continuazione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di cinque mesi di reclusione ed euro trecento di multa. Con la medesima sentenza l’imputato era stato condannato alle sanzioni accessorie e a risarcire la parte civile costituita del danno prodotto dal reato, rimettendo per la quantificazione le parti innanzi al competente giudice civile e riconoscendo una provvisionale di euro duemila, oltre la rifusione delle spese processuali sostenute nel grado dalla parte civile e le spese di giudizio.
1.1 La Corte di appello di Bologna, con la sentenza indicata in epigrafe, motivando funditus, secondo quanto dispone l’art. 578 cod. proc. pen., il riconoscimento della responsabilità anche per il fatto-reato estinto, ha dichiarato la prescrizione del reato di cui all’art. 474, cod. pen., eliminando il relativo aumento della pena disposta in continuazione, ed ha per l’effetto ridotto la sanzione a mesi quattro di reclusione ed euro duecento di multa per il reato di ricettazione accertato il 21 luglio 2010.
2. Avverso tale provvedimento ricorre l’imputato, a mezzo dei difensori di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione gli argomenti in appresso succintamente rappresentati, secondo quanto previsto dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
2.1. inosservanza o erronea applicazione della legge penale ed extra penale, vizio esiziale di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen.), in relazione alla identificazione dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 474 cod. pen., atteso che la registrazione dei marchi comunitari figurativi (disegno bicolore a scacchiera) è stata annullata in sede amministrativa, per difetto di capacità distintiva degli stessi, con decisioni della Divisione di Annullamento, confermate dall’EUIPO con provvedimenti del 4 maggio 2012 e del 16 maggio 2012; decisioni confermate dalla seconda sezione del tribunale dell’UE, del 21 maggio 2015, che ha respinto i riuniti ricorsi proposti dalla Luois Vouitton Matellier.
2.1.1. La Corte, in particolare, avrebbe dovuto riconoscere la natura controversa della legittimità formale dei marchi figurativi oggetto di impugnata (ed annullata) registrazione unionale, ed avrebbe dovuto conseguentemente accertare in concreto la capacità distintiva degli impugnati marchi figurativi; la Corte si è invece limitata a dar conto delle caratteristiche di detti segni figurativi, confondendo peraltro i caratteri tridimensionali (zigrinatura) del tessuto impressionato con il marchio (necessariamente bidimensionale), senza dunque dar conto della effettiva efficacia distintiva di quel disegno, la cui registrazione comunitaria era stata annullata dall’organo tecnico deputato a scrutinarne i requisiti.
2.2. Contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), giacché la Corte territoriale ha tenuto in assoluto non cale le decisioni in data 21 aprile 2015 della seconda sezione del tribunale UE, che avevano confermato le decisioni degli organi amministrativi di reclamo, che avevano, a loro volta, dichiarato la nullità della registrazione dei detti marchi figurativi, per difetto della idoneità distintiva degli stessi. La Corte di merito, nel dissentire dalle decisioni unionali, adottate dagli organi deputati al controllo della legittimità della registrazione, non ha punto motivato, così aprendo la stura alla censura del vizio di motivazione denunziato.
2.3. Ancora, contraddittorietà della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) rispetto alle decisioni adottate dalle giurisdizioni unionali appena sopra indicate e travisamento della prova in ordine alla ritenuta capacità distintiva dei marchi. La Corte, in particolare, avrebbe travisato gli elementi di fatto acquisiti al processo per attribuire efficacia distintiva ad elementi che gli organi europei avevano sapientemente scrutinato ed avrebbe riconosciuto la notorietà, la diffusione e la capacità distintiva dei marchi sulla base di prospettazioni equivoche ed unilaterali, attribuendo a personali percezioni il carattere del notorio.
2.4. Violazione della legge penale sostanziale (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.), in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo di illecita detenzione e ricezione a fini di commercio della merce recante marchi figurativi contraffatti, atteso che per la autorevolezza della fonte unionale che aveva annullato la registrazione dei marchi figurativi, non poteva riconoscersi in capo al ricorrente la rappresentazione e volizione di una condotta imitativa illecita, anche per il difetto, conosciuto, dei presupposti amministrativi della fattispecie (terzo comma dell’art. 474 cod. pen.). Il Cavalli, come si evince anche dal sostegno documentale regolare degli acquisti effettuati in data 20 febbraio e 27 marzo 2009, era convinto di aver portato a termine una condotta in tutto lecita, non riconoscendo (in ciò indotto dalle decisioni degli organi unionali) alcuna formale e sostanziale regolarità al marchio figurativo a scacchiera.
2.5. contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, -lett. e, cod. proc. perr.) nel riconoscimento del danno provocato dal reato e nella commisurazione della provvisionale. Nel giudizio di merito si è prima negato e poi affermato che la condotta aveva provocato un danno alla costituita parte civile, né l’entità della provvisionale riconosciuta (duemila euro) è stata frutto di calcolo ragionato e fondato su elementi certi di danno, solo ipoteticamente ricavato dalla quantità di merce detenuta in magazzino e di quella induttivamente ritenuta già ceduta al circuito della distribuzione del prodotto finito.
3. Con memoria depositata in cancelleria il 2 ottobre 2020, la difesa del ricorrente evidenzia che la Corte territoriale ha deciso la regiudicanda senza tener conto dei principi espressi da questa stessa sezione, con sentenza n. 43374 del 19 settembre 2019 (Rv. 277771), oltre ad aver del tutto obliterato le decisioni emesse dalla Curia europea, che aveva dichiarato la nullità del marchio per difetto di capacità distintiva. La difesa inoltre rappresenta che il reato sarebbe ad oggi prescritto, anche tenuto conto delle cause normative di sospensione del decorso dei termini della prescrizione determinate dal disposto dell’art. 83, comma 4, dl. 18/2020.
4. In udienza il patrono di parte civile ha prodotto, in lingua inglese, sentenza del tribunale unionale, decima sezione, emessa sul ricorso proposto dalla Louis Viutton Malleteir s.a in tema di legittimità del marchio figurativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente deve darsi atto della irricevibilità, per tardività, della memoria depositata nell’interesse dell’imputato (art. 611, comma 1, cod. proc. pen., che si ritiene perfettamente applicabile anche ai processi celebrati in pubblica udienza). Del pari irricevibile è la produzione di parte civile, trattandosi obiettivamente di prova nuova, certamente non ostensibile nella sede di legittimità, peraltro prodotta in lingua diversa dall’italiano (art. 109 cod. proc. pen.).
1. I motivi di ricorso sono inammissibili, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., per la manifesta infondatezza e aspecificità (in quanto meramente ripetitivi dei motivi di gravame respinti con diffusa motivazione dalla Corte di appello di Bologna) dei primi quattro motivi e per la sostanziale carenza di interesse del quinto. Segue, ai sensi dell’art. 585, comma 4, ult. periodo, cod. proc. pen., la inammissibilità anche della memoria, peraltro depositata in cancelleria solo sei giorni liberi prima della udienza fissata, in spregio di quanto disposto dall’art. 611, comma 1, ult. periodo del codice di rito.
1.1. Dalla lettura del testo della sentenza impugnata e di quella consonante di primo grado si evince che nel giudizio di merito l’affermazione della responsabilità si è fondata sulla corretta analisi delle circostanze di fatto emerse nel corso del dibattimento di primo grado e che nel giudizio di appello sono state tenute in debito conto le doglianze di merito e di diritto sviluppate con i motivi di gravame, con il corredo documentale allegato. La Corte di merito ha così offerto ai motivi di gravame diffusa ed esaustiva corrispondenza dialettica, che sul punto essenziale della decisione non viene peraltro censurata con i motivi di ricorso.
1.2. Nel giudizio di merito sono state correttamente argomentate consistenza e univocità delle evidenze che hanno condotto ad affermare la responsabilità dell’imputato rispetto ad entrambe le ipotesi accusatorie descritte in imputazione, nonostante la intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 474 cod. pen., atteso che nella fattispecie processuale correva l’obbligo ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. di esplicitare tutti i motivi della riconosciuta responsabilità (anche ai soli fini della sussistenza del danno civile). I motivi di ricorso relativi si risolvono, pertanto, nella mera riproposizione delle argomentazioni già prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte, senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione; senza cioè indicare le ragioni delle pretese illogicità o della ridotta valenza dimostrativa degli elementi a carico, e ciò a fronte di puntuali argomentazioni contenute nella decisione impugnata, con cui il ricorrente rifiuta di confrontarsi. Questa Corte ha già in più occasioni avuto modo di evidenziare che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), e che le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Più in particolare, si è ritenuto «inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838). Nella medesima prospettiva è stata rilevata, per un verso, l’inammissibilità del ricorso per cassazione «i cui motivi si limitino a enunciare – ragioni ed argomenti -già illustrati in atti o memorie presentate -al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato» (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181). E non è comunque sufficiente, ai fini della valutazione di ammissibilità, che ai motivi di appello vengano aggiunte «frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito» (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
1.3. Appare comunque opportuno ricordare che l’art. 473 cod. pen. appresta una tutela che riguarda la fase precedente la immissione in commercio di prodotti contraffatti; si tratta di una tutela che si colloca in una fase analoga a quella della fabbricazione prevista e punita dall’art. 517 ter, primo comma cod. pen., che sanziona chi fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso; mentre la condotta punita dall’art. 474, cod. pen., è direttamente collegata alla messa in circolazione del prodotto falsamente contrassegnato e presuppone già apposto il segno distintivo su una determinata res. L’oggetto materiale dell’art. 474, cod. pen., è limitato ai marchi e segni distintivi, giacché tale disposizione non comprende nel proprio perimetro i modelli e disegni, che non siano qualificati come marchio figurativo, non potendosi estendere in malam partem la tutela del marchio a quella del modello, senza violare il principio di tipicità. E’ consolidato inoltre il principio per cui l’art. 474, cod. pen., è posto a tutela del bene giuridico della fede pubblica e richiede -a monte- la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio, tale da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento; si è peraltro chiarito che l’offensività della condotta deve avere riguardo esclusivamente al successivo utilizzo del bene contraffatto, sicché l’attitudine della falsificazione a ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell’acquisto, ma in relazione alla prospettiva della loro successiva utilizzazione (cfr., in tal senso, Sez. 2, del 19/2/2013 n. 22133, ibidem, Sez. 5, del 9/1/2009 n. 14.876, ric. Chen).
2. Fatte queste premesse di ordine generale, e passando alla questione centrale sollevata con i primi tre motivi di ricorso, va detto che il carattere distintivo che accomuna le fattispecie che sanzionano la contraffazione del marchio è rappresentato dalla osservanza delle norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale da parte del titolare del modello. Sicché il presupposto della condotta criminosa si rinviene essenzialmente nella validità del modello o del marchio della cui contraffazione o alterazione si discute. Gli artt. 4 e ss. del Reg. CE 6/20026 stabiliscono che un disegno o modello è protetto se e in quanto possieda due requisiti: la novità ed il carattere individuale idoneo a distinguerlo da ogni altro; la giurisprudenza comunitaria ha precisato, tuttavia, che una combinazione di elementi già divulgati è comunque suscettibile di protezione come disegno o modello comunitario a condizione che, nel complesso, sia in possesso di questi due requisiti. Un prodotto si considera dotato di carattere individuale quando l’impressione generale suscitata nell’utilizzatore informato differisca in modo significativo rispetto a quella suscitata nel medesimo utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato precedentemente al pubblico; per utilizzatore informato, si intende il soggetto che conosce i vari disegni o modelli esistenti nel comparto merceologico di riferimento, ovvero che, senza essere un progettista o un esperto tecnico, disponendo di un elevato grado di conoscenza a causa del suo interesse per i prodotti in questione, dà prova di un grado d’attenzione relativamente elevato quando li utilizza. In quest’ottica, ovvero considerando la validità del modello o del marchio della cui contraffazione o alterazione si discute, quale presupposto oggettivo della illiceità penale della condotta, questa Corte, modificando un orientamento assolutamente consolidato prima dell’intervento del legislatore del 2009 (cfr., Sez. 5, 7.10.2011 n. 48534, Jang; Sez. 5, 22.6.1999 n. 8758, Rossi; Sez. 2, 21.11.2006 n. 6323, Cinti; Sez. 5, 8.1.2009 n. 9752, Giustini), ha avuto modo di chiarire che, proprio alla luce delle modifiche apportate agli artt. 473 e 474 cod. pen. dalla legge n. 99 del 2009, non è sufficiente, per la configurabilità del reato, che prima della sua consumazione sia stata depositata la domanda tesa ad ottenere il titolo di privativa, ma è invece necessario che questo sia stato effettivamente e realmente conseguito (cfr., Sez. 5, 13.7.2012 n. 36360, Shao; Sez. 5, 4.6.0213 n. 41891, Chiovini; Sez. 5, 12.12.2012, n. 9340, Giannico; 12.4.2012 n. 25273, Dellatte). La giurisprudenza, d’altra parte, è univoca nel senso di ritenere attribuito al giudice penale il compito di decidere -in via incidentale- sulla validità o meno della registrazione del modello, accertando, quindi, l’esistenza e la validità anche sostanziale del presupposto del reato stabilito dalle disposizioni interne e sovranazionali in punto di tutela della proprietà industriale ed intellettuale (Sez. 5, 21.9.2010 n. 43515, Guiderdone, secondo cui spetta al giudice penale decidere in via incidentale sulla validità o meno di un marchio, registrato sia in sede comunitaria che nazionale, quando la questione assuma rilevanza ai fini della qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’imputazione; Sez. 3, 17.3.2016 n. 31868, P.C. in proc. Cippitelli, che ha riaffermato tale principio in tema di contraffazione -dei c.d. modelli ornamentali brevettati; da ultimo, sez. 2, n. 43374, del 19/9/2019, Rv. 277771, citata dal ricorrente nelle note tardivamente depositate). Il giudice, pertanto, dovrà prendere in considerazione eventuali pronunce di inefficacia parziale, nonché decisioni su eventuali domande di nullità dei modelli che, secondo quanto previsto degli articoli 17, paragrafo 1, e 69, paragrafo 3 lettere p), q), r) del Reg. CE n. 2245/20025, devono essere apposte sul relativo certificato di registrazione.
2.1. Ebbene, venendo alla fattispecie concreta, non può sottacersi, come fanno i motivi di ricorso, che sul punto mantengono un mesto silenzio, che i marchi figurativi a scacchiera damier e damier azur erano regolarmente registrati (21/11/2008) alla data di perfezionamento delle fattispecie contestate (2009 o 2010 che sia) e lo sono tuttora, giacché la decisione di primo grado del tribunale UE del 21 aprile 2015 è stata impugnata dinanzi alla Corte di Giustizia dell’UE e, pendente il ricorso, il retailer tedesco ha rinunciato alla domanda di annullamento della registrazione dei detti marchi, cosicché l’organo deputato al vaglio preliminare di ammissibilità dei ricorsi alla CG, preso atto del ritiro della domanda di nullità, aveva dichiarato che: il ricorso di annullamento e il procedimento sono divenuti senza oggetto e sono chiusi. Orbene, questa forma di non liquet processuale sulla domanda che aveva innescato la procedura volta alla verifica dei presupposti e delle condizioni di validità della registrazione ha evidentemente lasciato inalterata la validità della detta registrazione, chiudendo la parentesi amministrativa aperta dalla domanda di nullità. La Corte di appello, preso atto della chiusura del procedimento amministrativo volto a censurare la legittimità della registrazione, non poteva far altro che riconoscere, sotto il profilo formale e normativo, la validità e l’efficacia della registrazione (tanto al momento del perfezionamento dei reati, che al momento della decisione). Non restava pertanto alla Corte che scrutinare e verificare, sia pur incidentalmente ed ai soli fini della corretta qualificazione della fattispecie di reato, la correttezza sostanziale della privativa. Il che è esattamente il compito che la Corte ha diligentemente svolto (cfr. pag. 8 e 9 della sentenza impugnata) con motivazione logica e coerente, che analizza le evidenze raccolte nel doppio grado di merito, non censurabile nella sede di legittimità.
3. La Corte felsinea ha infatti spiegato -ineccepibilmente- che l’accertamento della responsabilità si è fondato sulla corretta e coerente analisi delle evidenze processuali (sequestro presso i locali aziendali dei fogli stampati recanti il disegno zigrinato oggetto di privativa; disegno, colori e trama che hanno la funzione di rendere il capo differente da qualsiasi altro, così identificandolo con un prodotto conosciuto al grande pubblico), a nulla rilevando che detti motivi geometrici a scacchiera non recassero sigle o altro, in quanto ciò che la fattispecie tutela è la originalità del prodotto registrato (per la tutela dei segni ornamentali: Sez. 3, n. 31868, del 17/3/2016, Rv. 267668) e la sua capacità distintiva è stata divisata sulla base di evidenze dichiarative di soggetti tecnici versati nel settore e sulla base di elementi pubblicitari che ne testimoniano la diffusione, senza contare che appartiene certamente al notorio la combinazione tra una maison ed un particolare disegno geometrico. Il che corrisponde esattamente alla ragione che spinge alla contraffazione imitativa, giacché è quel tipo di disegno che viene identificato dal pubblico (evidentemente poco dotato di capacità critiche, n.d.e.) come sintomatico di qualità e fascino.
3.1. Quanto alla ricettazione degli oggetti recanti riproduzione ingannatoria di marchi figurativi registrati, la Corte ha correttamente divisato concorso di reati nelle distinte oggettività giuridiche tutelate dalle diverse norme incriminatrici, ponendosi così all’interno di un filone giurisprudenziale consolidato da poco meno quattro lustri (Sez. 2, n. 12452, del 4/3/2008, Rv. 239745; Sez. U., n. 23427, del 9/5/2001, Rv. 218771).
3.2. Ciò posto quanto ai primi tre motivi di ricorso, va riconosciuta la correttezza della applicazione della norma incriminatrice (art. 474 cod. pen.) per la idoneità della condotta a mettere in pericolo la tutela dell’affidamento del pubblico su determinati prodotti commerciali, ben identificabili grazie all’uso di particolari marchi o segni distintivi. Non essendo assolutamente richiesta dalla incriminazione la perfetta identità dei segni riprodotti senza licenza (Sez. 5, n. 33543, del 21/09/2006, Rv. 235225).
4 La medesima sorte avvince il quarto motivo di ricorso, non potendo ammettersi errore o ignoranza scusabile del titolare dell’impresa nell’acquisto di merce di natura illecita, atteso anche lo specifico “vissuto” evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, che valorizza le pregresse esperienze specifiche calcate dal ricorrente, piuttosto avvezzo alla commercializzazione di prodotti recanti i segni distintivi di quella maison. A tanto deve aggiungersi che (come già sopra evidenziato) al momento dell’acquisto del materiale contraffatto il marchio era sicuramente registrato e non sussisteva ancora alcuna controversia amministrativa in ordine alle sue qualità distintive. Nulla quindi poteva indurre nell’agente il dubbio sulla illiceità della sua condotta.
5. L’ultimo motivo di ricorso (danno civile nascente da reato e quantificazione della somma cui è stata attribuita la clausola di provvisoria esecutività) reitera generiche argomentazioni già spese con i motivi di gravame nel merito, sulle quali la Corte di appello ha puntualmente motivato, ravvisando le ragioni di danno nella natura plurioffensiva del reato di cui all’art. 474 cod. pen. La -motivata quantificazione della provvisionale si sottrae comunque ad ogni forma di censura nella sede di legittimità (Sez. 4, n. 20318, del 10/1/2017, Rv. 269882; Sez. 5, n. 12762, del 14/10/2016, Rv. 269704), trattandosi di statuizione che non definisce il processo sulla domanda risarcitoria.
6. Consegue alla ritenuta inammissibilità che la decisione di merito sull’accertamento del fatto e l’attribuzione della responsabilità, intervenuta in data 10 gennaio 2019, cristallizza i suoi effetti a quella data. Il decorso del tempo successivo a tale evento non può essere quindi efficacemente computato ai fini del calcolo del termine complessivo della prescrizione per il reato di ricettazione, in quanto non si è mai validamente ed efficacemente formato un rapporto di impugnazione (Sez. U. n. 21 del 22/10/2000, Rv. 217266; più recentemente, Sez. 2, n. 28848, del 8/5/2013, Rv. 256463). Peraltro, nella fattispecie, la intervenuta prescrizione dei reati non è stata rilevata né con i motivi di appello, né con quelli di ricorso, ma solo con la memoria tardivamente depositata, il che ne preclude la rilevabilità di ufficio (Sez. U. n. 12602, del 17/12/2015, Rv. 266818).
7. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro duemila.
8. Le spese di costituzione e rappresentanza in giudizio sostenute nel grado dalla parte civile vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Louis Vuitton Malletier s.a., che liquida in complessivi euro 3,510,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 ottobre 2020
Depositato in cancelleria il 27 ottobre 2020