Cassazione penale, sez. V, 29/10/2020, n. 29965
SENTENZA
(Presidente: dott.ssa Maria Vessichelli – Relatore: dott.ssa Paola Borrelli)
sui ricorsi proposti da:
MANZO RAFFAELLA nata a CAVA DE’ TIRRENI il 13/08/1963 MANZO AMEDEO nato a CAVA DE TIRRENI il 01/06/1936
avverso
la sentenza del 02/07/2019 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA BORRELLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI LEO, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
uditi i difensori: l’Avv. PARADISO, per le parti civili, ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi, richiamando gli atti già depositati e ha depositato conclusioni scritte e nota spese, chiedendone la liquidazione;
l’Avv. PERONETTI si è riportato integralmente ai motivi e alle memorie già depositate.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 2 luglio 2019 dalla Corte di appello di Napoli, che ha riformato in punto di trattamento sanzionatorio la decisione del Tribunale della stessa città, che aveva condannato Raffaella ed Amedeo Manzo alla pena di giustizia per i reati di cui agli artt. 473 e 517 cod. pen. ed al risarcimento del danno a favore delle parti civili, la prima quale amministratore della s.a.s. Ricambi Manzo e responsabile del punto vendita di Napoli e, il secondo, di socio dell’anzidetta società e responsabile del punto vendita di Battipaglia. L’accusa validata dai Giudici di merito è quella di avere contraffatto o comunque fatto uso di brevetti (capo A) e di disegni e modelli registrati (capo C) dalla Vorwerk, relativi a ricambi e materiali di consumo per aspirapolvere “Folletto” e per avere messo in vendita i prodotti in modo da indurre in errore gli acquirenti sulla loro origine e provenienza (capo D). In primo grado, gli imputati erano stati assolti, con la formula ‘perché il fatto non sussiste’, dall’ulteriore accusa (capo B) di aver contraffatto i marchi registrati dalla Vorwerk, date le differenze grafiche riscontrate tra i marchi apposti sui prodotti detenuti dai Manzo e quelli registrati.
2. Avverso detta sentenza ha proposto un unico ricorso per cassazione – nell’interesse di entrambi gli imputati – il loro difensore di fiducia, affidando la critica a sei motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge sostanziale in relazione alla conferma della condanna quanto al capo C). Secondo i ricorrenti, il “disegno o modello”, per essere tale, deve necessariamente rispettare il requisito di cui all’art. 4 Reg. n. 6/2002 e all’art. 3 della direttiva 98/71/CE, cioè deve essere visibile. La Corte di appello, dunque, avrebbe errato laddove aveva confermato la sentenza di primo grado ritenendo che la clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i. non si applicasse ai prodotti di cui al capo C) perché non dotati di visibilità esterna, in quanto delle due l’una: o si tratta di disegno/modello e, quindi, è visibile, donde si applicherebbe la clausola di riparazione; o non è visibile (come correttamente assunto dalla Corte di appello) e non può ricevere la tutela di privativa industriale del disegno/modello. In un secondo segmento del primo motivo di ricorso, la parte ricorda che, nella legislazione nazionale ed europea, vige il favor per la libera concorrenza sul mercato secondario, di cui è testimonianza, quanto alla tutela dei brevetti, il principio di esaurimento e, in quello dei disegni e modelli, la clausola di riparazione. A seguire, il ricorrente riporta tratti di sentenze di legittimità.
2.2. Il secondo motivo di ricorso del pari lamenta violazione di legge sostanziale, questa volta con riferimento al reato di cui al capo A). Solo due dei prodotti ivi indicati – si legge nel ricorso – si riferiscono a prodotto complesso e già il Tribunale del riesame, in sede di riesame reale avverso il provvedimento di sequestro, aveva osservato che dagli atti non emergeva che i beni suddetti fossero interessati da contraffazioni (perché la parte aveva giustificato la detenzione imputandola a richieste di riparazione e/o rottamazione), conclusione non contraddetta dai giudici del merito. Il resto dei prodotti erano tutti beni di consumo o parti di ricambio interne al prodotto complesso, non visibili e, quindi, non tutelabili neanche come modello – considerato il principio di esaurimento ed il concetto di brevetto per invenzione – né ulteriormente ed autonomamente tutelabili rispetto al prodotto complesso. Per finire, il ricorrente assume che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato l’art. 241 del c.p.i., che si applica ai disegni e modelli non perché il brevetto ne resti escluso, bensì solo perché il disegno/modello può ricevere una diversa ed ulteriore tutela di proprietà industriale.
2.3. Il terzo motivo di ricorso – che concerne il reato di cui al capo D) – deduce omessa motivazione a proposito del dato, emerso dall’istruttoria dibattimentale e rimarcato dalla difesa, che i clienti degli esercizi non avevano possibilità di accedere direttamente ai prodotti (immagazzinati in locale retrostante) e che questi ultimi venivano loro mostrati dal personale solo dopo che era stato loro spiegato che si trattava non già di prodotti originali, ma solo compatibili; tale dato era emerso in occasione dell’audizione dei dipendenti della Manzo ed era stato dedotto nell’appello, ma la Corte distrettuale l’aveva ignorato. L’accertamento della fattispecie ex art. 517 cod. pen., pur essendo quest’ultima reato di pericolo astratto, impone l’accertamento dell’idoneità della condotta alla concretizzazione del pericolo, nel caso di specie da escludere perché il prodotto veniva mostrato al cliente dall’addetto alle vendite previa spiegazione della sua non originalità.
2.4. Il quarto argomento di censura investe nuovamente la motivazione e denunzia altresì erronea applicazione dell’art. 47 cod. pen., data la pretermissione, da parte della Corte di appello, del tema del coefficiente soggettivo; andava valutato, in particolare, se vi fosse stato errore su legge extrapenale integrativa del precetto penale quanto alla protezione di proprietà industriale dei prodotti di cui alle imputazioni, peraltro acquistati da un noto rivenditore e, quindi, nella convinzione della loro legittimità. Conforterebbe detta tesi la confusione normativa e giurisprudenziale sul tema, che legittimerebbe la possibilità di invocare l’art. 5 cod. pen. come interpretato dalla Consulta con la sentenza n. 364 del 1988.
2.5. Il quinto motivo di ricorso in effetti consiste in una richiesta di rimettere gli atti alle Sezioni Unite di questa Corte , data la confusione esegetica che regna in tema di proprietà industriale.
2.6. Il sesto ed ultimo motivo di ricorso – deducendo vizio di motivazione – critica la risposta della Corte distrettuale a proposito dell’invocata sospensione condizionale della pena, affidata – in tesi – ad una mera formula di stile e, comunque, fondata sulla gravità della condotta che, da sola, non può condurre al disconoscimento del beneficio. Dall’epoca dei reati, gli imputati non avevano commesso alcun reato ed erano incensurati.
3. Il 27 luglio 2020, il difensore degli imputati ha depositato motivi nuovi.
3.1. Il primo motivo lamenta errore in norma extrapenale.
3.1.1. Dopo aver riportato i disegni dei brevetti di cui al capo A) per “sacco filtro con profumo”, “sacco filtro per aspirapolvere”, sacco filtro polvere per aspirapolvere”, “sezione canale flusso”, “adattatore per tubo di aspirazione” e “microfiltro igienico”, i ricorrenti hanno sostenuto che si tratta di parti interne al prodotto, non visionabili durante l’utilizzo, consumabili (da cambiare periodicamente nel corso dell’utilizzazione dell’oggetto complesso, anche al fine di ripristinarne il corretto utilizzo), nonché parte di un prodotto complesso già autonomamente brevettato. Ne hanno concluso che dette parti, definite anche pezzi di ricambio o parti di consumo, non possono essere oggetto di diritto di esclusiva ulteriore rispetto a quello già assegnato all’intero prodotto complesso. Con riferimento ai brevetti “aspirapolvere elettrico con camera di filtraggio”, “aspirapolvere con camera sacco filtro”, il Tribunale del riesame ne ha ritenuto legittima la detenzione in quanto per riparazione, mentre i disegni ed i modelli ornamentali Chassis VK130/1 – RM98000230 e VK 130 – 705983 – 0169/IR correlati ai medesimi brevetti, non sono oggetto di falsificazione ma di costruzione, ab origine, del manufatto integrale oggetto di contestazione. I ricorrenti sostengono che tali beni erano presenti presso la Manzo solo per rottamazione e non sarebbero oggetto di alcuna falsificazione; peraltro, sul punto, né la sentenza di primo grado né quella di appello hanno speso argomentazione alcuna per confutare quelle del Tribunale del riesame. I Giudicanti avrebbero dovuto conoscere della conformità dei titoli di privativa industriale contestati e risolvere le questioni inerenti alla loro effettiva legittimità ed avrebbero dovuto valutare l’errore, come già predicato nel ricorso principale.
3.1.2. Con riferimento ai disegni e modelli di cui al capo C), i ricorrenti osservano che, a mente della legislazione europea, le componenti di un prodotto possono ricevere la protezione riservata ai disegni e modelli solo se, congiuntamente: – esse non costituiscono mere caratteristiche dettate unicamente da funzioni tecniche; – restano visibili durante l’utilizzazione ed una volta montate sul prodotto complesso; – siano applicate o incorporate in un prodotto che costituisca componente di un prodotto complesso; – non costituiscano componente di un prodotto complesso destinate a consentirne la riparazione e ripristinarne l’aspetto originario, in tale ambito applicandosi l’art. 241 del c.p.i. A seguire, i ricorsi riportano le illustrazioni dei disegni e modelli contestati, sostenendo che, a dette componenti, non è possibile accordare la tutela prevista dalla legislazione europea e nazionale per i disegni ed i modelli perché sono dettate, nella forma, solo da funzioni tecniche, non sono visibili una volta applicate al prodotto complesso e sono destinate unicamente a consentire la riparazione o l’utilizzo del prodotto complesso.
3.2. Il secondo motivo nuovo denunzia omessa motivazione e travisamento della prova quanto al capo D) dell’imputazione. La Corte di appello non avrebbe preso in considerazione che il reato di cui all’art. 517 cod. pen. è una fattispecie di pericolo concreto, donde, poiché la difesa aveva dimostrato che i prodotti non erano visibili dai clienti e che questi ultimi ricevevano il prodotto dopo la spiegazione dei dipendenti della “Manzo ricambi”, non vi sarebbe possibilità di confusione, anche semplicemente visiva, dei prodotti. La sentenza andrebbe riformata anche quanto al coefficiente soggettivo ed alla possibile sussistenza di un errore rilevante ex art. 47 cod. pen., dal momento che la Manzo acquista i prodotti da un’azienda rinomata nel settore che legittimamente li commercializza.
4. Il 30 luglio 2020, l’Avv. Armando Paradiso per le parti civili Vorwerk Elektrowerke GmbH & co. KG, Vorwerk intentational A.G., Vorwerk & co. Interholding GmbH e Vorwerk Italia s.a.s. di Vorwerk management srl, ha depositato memoria. Nella premessa a detta memoria, si osserva che, contrariamente a quanto assumono i ricorrenti e come, invece, sostenuto sia dal Tribunale che dalla Corte di appello, i brevetti per invenzione, i disegni e modelli ed i marchi oggetto del presente provvedimento hanno tutti ottenuto le registrazioni di legge e tale proposizione non è mai stata oggetto di fondata contestazione sotto il profilo tecnico; a ciò si aggiunga che un ulteriore esame sotto il profilo tecnico trascenderebbe nel merito. A seguire, in relazione ai singoli motivi di ricorso, le parti civili osservano.
4.1. Il primo motivo di ricorso – quello concernente il capo C) – sarebbe inammissibile , perché attinge il merito della regiudicanda – come affermato in premessa – in quanto il postulato secondo cui i beni ivi indicati non potrebbero ricevere la tutela di privativa industriale richiederebbe a questa Corte una valutazione tecnica già svolta dal Tribunale e dalla Corte di appello per 1) esaminare le caratteristiche tecniche dei disegni e modelli, 2) verificarne la visibilità durante la normale utilizzazione, 3) eventualmente dichiarare che non sussisterebbero i requisiti di legge per la protezione. Aggiungono le parti che la Corte territoriale, confermando quanto asserito sul punto dal Tribunale, ha correttamente escluso l’applicabilità dell’art. 241 c.p.i. in quanto, quelle in contestazione, sarebbero parti consumabili del prodotto complesso. Dette parti, inoltre, sarebbero visibili perché l’utilizzazione del prodotto comprende anche la loro sostituzione ad opera del consumatore finale, a prescindere dalla loro allocazione finale all’interno dell’apparecchio.
4.2. Il secondo motivo di ricorso – quello relativo al reato di cui al capo A) – sarebbe del pari inammissibile. Non sarebbe corretta l’affermazione dei ricorrenti secondo cui due brevetti sarebbero stati esclusi dall’imputazione dal Tribunale del riesame. In primo luogo, il Collegio della cautela reale aveva semplicemente affermato che, per alcuni beni, non emergeva che essi fossero interessati da una qualche contraffazione e, in secondo luogo, l’imputazione cristallizzata nel decreto che dispone il giudizio è quella che va riguardata nel giudizio. Inoltre sarebbe inconferente l’affermazione dei ricorrenti circa la non brevettabilità di un prodotto che costituisce parte di uno più complesso oggetto di autonomo brevetto quando la forma del primo è necessitata dal secondo, in quanto si tratta di proposizione tratta da una sentenza della cassazione civile anteriore all’entrata in vigore della direttiva 98/71/CE relativa al brevetto per modello ornamentale, ambito diverso da quello di interesse in questa sede. Tutto il motivo è caratterizzato da questa confusione e vieppiù da considerazioni che imporrebbero a questa Corte un vaglio di merito circa la brevettabilità dei prodotti, peraltro non negata dal consulente tecnico degli imputati, che aveva fatto un generico ed impreciso riferimento ad una inesistente decadenza ancorché i brevetti siano ancora pienamente validi, come correttamente ritenuto dai giudici di merito. Ai brevetti per invenzione non si applicherebbe la clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i.
4.3. Sarebbe inammissibile anche il motivo di ricorso che concerne una presunta omessa motivazionale riguardo alla fattispecie ex art. 517 cod. pen., di cui, al contrario, si sono occupate entrambe le sentenze di merito.
4.4. Quanto al motivo concernente l’insussistenza del coefficiente soggettivo, le parti civili sottolineano che si tratta di tema inedito in quanto non affrontato nei motivi di appello e, comunque, quanto alla dedotta violazione dell’art. 47 cod. pen., la censura sarebbe assolutamente generica e manifestamente infondata, giacché i Manzo sono operatori del settore e rivenditori anche di prodotti originali. Conclude la memoria postulando la manifesta infondatezza della doglianza concernente la violazione dell’art. 5 cod. pen., sia perché le valutazioni del Tribunale del riesame rispondono a rationes diverse rispetto a quelle necessarie per valutare la colpevolezza di un imputato, sia perché al più i ricorrenti potevano versare in una condizione di dubbio, che non giustifica l’applicazione della norma codicistica invocata.
5. Il 7 settembre 2020, il difensore dei ricorrenti ha depositato una memoria in cui ha obiettato alle osservazioni delle parti civili, nella parte in cui avevano sostenuto che i ricorsi trascendessero nel merito della regiudicanda, che alla Corte di cassazione fosse stata demandata una valutazione tecnica e che non fosse deducibile la pretermissione delle prove che riguardavano le modalità di vendita dei beni ai clienti.
6. In data 11 settembre 2020 è pervenuta in cancelleria memoria, spedita il 9 settembre, con cui le parti civili hanno replicato ai motivi aggiunti dei ricorrenti assumendone l’inammissibilità e/o l’infondatezza in quanto basati, – quanto al capo A), alla corte i ricorrenti chiedevano una valutazione di merito, confondevano brevetti per invenzioni e disegni e modelli e negavano impropriamente la brevettabilità dei prodotti di cui all’imputazione, quale componente di un prodotto complesso. Sostengono altresì le parti civili la non applicabilità del principio di esaurimento e la non pertinenza del riferimento alle argomentazioni del Tribunale del riesame. – Quanto al reato sub C), i ricorrenti invocherebbero un riesame nel merito e non avrebbero ragionato su tutti i prodotti di cui al capo di imputazione, mentre correttamente era stata esclusa l’applicazione della clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i. – In ordine al capo D), le prove in tesi pretermesse sarebbero invece già state esaminate dai Giudici di merito e, comunque, trattandosi di doppia conforme, non potrebbe essere coltivato il vizio di travisamento della prova. Ribadiscono, infine, le pp.cc . che il tema del coefficiente soggettivo e dell’erronea applicazione degli artt. 47 e 5 cod. pen. è inedito
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono parzialmente fondati, sicché la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli effetti penali, per essere i reati estinti per prescrizione, ed agli effetti civili – limitatamente al capo A) con riferimento ai due aspirapolveri interi e, in toto, ai capi C) e D), con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Per il resto i ricorsi vanno rigettati. 1. Va innanzitutto sancita la fondatezza del primo motivo di ricorso, relativo al reato di cui al capo C), vale a dire alla contraffazione dei disegni e modelli relativi ad una serie di prodotti ivi indicati. Tanto impone di rilevarne, agli effetti penali, la prescrizione e di annullare la sentenza impugnata agli effetti civili, con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello.
1.1. E’ opportuno ricordare che, secondo la censura formulata dai ricorrenti, il “disegno o modello”, per essere tutelabile come tale, deve necessariamente rispettare il requisito di cui all’art. 4 Reg. n. 6/2002 e al par. 3 direttiva 98/71/CE, cioè deve essere visibile. La Corte di appello, dunque, avrebbe errato laddove aveva confermato la sentenza di primo grado ritenendo che la clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i. non si applicasse ai prodotti di cui al capo C) siccome non dotati di visibilità esterna perché delle due l’una: o si tratta di disegno/modello e, quindi, è visibile, donde si applicherebbe la clausola di riparazione; o non è visibile (come correttamente assunto dalla Corte di appello) e allora non può ricevere la tutela di privativa industriale del disegno/modello.
1.2. Orbene, è opinione del Collegio che, quando i ricorrenti appuntano la propria attenzione sulle argomentazioni adoperate dalla Corte di appello per giustificare la mancata applicazione della clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i., evidenziano effettivamente un errore di diritto, oltre che l’anomalia giuridico-motivazionale predicata in concreto nei ricorsi, al di là del nomen attribuito dalle parti alla censura.
1.2.1. Prima di dare conto delle ragioni della decisione, appare necessario illustrare la ricostruzione in diritto da cui ha preso le mosse l’odierna valutazione di questa Corte. A norma dell’art. 31, comma 1, c.p.i., «Possono costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale». Ai sensi del comma 2, «Per prodotto si intende qualsiasi oggetto industriale o artigianale, compresi tra l’altro i componenti che devono essere assemblati per formare un prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri tipografici, esclusi i programmi per elaboratore». Quanto alla definizione di prodotto complesso che interessa in questa sede, il comma terzo recita: «Per prodotto complesso si intende un prodotto formato da piu’ componenti che possono essere sostituiti, consentendo Io smontaggio e un nuovo montaggio del prodotto». Definizioni analoghe si leggono nel Regolamento CE n. 6/2002 del Consiglio, del 12 dicembre 2001 e nella Direttiva 98/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 1998 sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli. Ferme le anzidette definizioni di “prodotto complesso” e di “componente del prodotto complesso”, giova poi osservare che la logica di tutela dell’aspetto esteriore del prodotto finito dotato di una propria autonomia, che costituisce l’in se della sua protezione come disegno o modello, si coglie anche nella regolamentazione dei requisiti per assicurare tutela, allo stesso titolo, ai componenti del prodotto complesso. Come correttamente opinato dai ricorrenti, invero, la necessità della visibilità ai fini della tutela come modello o disegno anche del semplice componente di un prodotto complesso si evince proprio dalle fonti suddette. In particolare, secondo il par. 3, comma 1, lett. a) della direttiva, l’art. 4 del Regolamento e l’art. 35, comma 1, lett. a), c.p.i., un componente di un prodotto complesso può essere oggetto di tutela, tra le altre cose, se, una volta incorporato nel prodotto complesso, rimane visibile durante la normale utilizzazione di quest’ultimo. Detto assetto normativo depone, dunque, nel senso che la visibilità sia un requisito essenziale per la tutela come disegno o modello del componente del prodotto complesso e che detta visibilità debba venire in rilievo durante l’utilizzazione “ordinaria” da parte del consumatore finale.
1.2.2. Fatta questa premessa, il Collegio deve rilevare che, nelle sentenze di merito, non vi è una chiara descrizione dei prodotti a cui si riferisce la contestazione, che, d’altronde, per la maggior parte dei beni, riporta solo delle sequenze alfanumeriche. Le sentenze parlano di componenti del prodotto complesso non visibili (profumi interni, filtri e sacchetti interni, come descritti dal Tribunale, ovvero pezzi senza «visibilità esterna», come genericamente definiti dalla sentenza impugnata), nonché di accessori fungibili non incidenti sulla composizione estetica del prodotto (cfr. sentenza di primo grado) e di «beni consumabili» (cfr. sentenza impugnata). Ebbene, le indicazioni suddette appaiono generiche, laddove, oltre a non esservi la descrizione di ciascun prodotto e del suo atteggiarsi rispetto a quello complesso cui inerisce, non è chiaramente affermato se e come si combinino e concilino tra loro le predicate caratteristiche di non visibilità, fungibilità e consumabilità. Ad ogni buon conto, pur a fronte dell’ambiguità delle proposizioni dedicate a questo aspetto, sembrerebbe potersi affermare che entrambi i Giudici di merito hanno negato la visibilità dei prodotti di cui si discute e che, in particolare, la Corte territoriale ha agitato proprio questa caratteristica – quella della non visibilità – per negare l’applicazione della clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i. Ebbene, il Collegio ritiene che tanto abbia determinato un’aporia argomentativa ed un errore in diritto: la Corte di appello, infatti, non si è avveduta che, lungo il percorso logico sviluppato, finiva per negare, a monte, la stessa tutelabilità dei componenti del prodotto complesso come modelli e disegni laddove ne escludeva la visibilità. In altri termini, l’affermazione della Corte territoriale circa la mancanza di visibilità del prodotto – sia pure funzionale ad escludere l’applicabilità della clausola di riparazione – ha creato un corto circuito argomentativo fondato su un’errata interpretazione della disciplina di riferimento perché ha finito per investire un presupposto che si pone a monte del tema dell’art. 241 c.p.i, incidendo sui requisiti stessi per la tutela del componente come modello o disegno sia a livello europeo che nazionale.
1.2.3. Né giova alla tenuta della sentenza impugnata l’osservazione spesa dalle parti civili, nella loro memoria, tesa a far rientrare nel concetto di “normale utilizzazione” gli interventi di manutenzione/sostituzione da parte dello stesso consumatore finale, donde ne discenderebbe che, poiché in tali fasi il componente si rende visibile, esso dovrebbe ricevere la tutela come disegno o modello. Invero, il paragrafo 3 della direttiva 98/71 e l’art. 4 del regolamento n. 6 del 2002 escludono espressamente dalla nozione di “utilizzazione normale” gli interventi di manutenzione, assistenza e riparazione e lo stesso avviene ad opera dell’art. 35, comma 1, lett. a), c.p.i. Ne è riprova l’ulteriore dato evincibile dalle disposizioni citate, secondo il quale la visibilità del componente deve permanere «una volta incorporato nel prodotto complesso», il che rafforza l’idea che la visibilità non rileva nelle operazioni prodromiche alla sostituzione del componente.
1.2.4. Tale vizio del tessuto motivazionale è tanto più rilevante in quanto sarebbe stata competenza dei Giudici di merito, oltre che quella di ben delineare le caratteristiche del singolo prodotto, anche di valutare se ciascuno di essi fosse suscettibile di protezione (Sez. 2, n. 43374 del 19/09/2019, Qiu Zhangmei, Rv. 277771; Sez. 3, n. 31868 del 17/03/2016, Cippitelli, Rv. 267668; Sez. 5, n. 43515 del 21/09/2010, Guiderdone, Rv. 249479).
1.2.5. Naturalmente questo tema precede, logicamente e giuridicamente, quello dell’applicabilità, nella specie, della clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i. di cui pure dibattono i ricorrenti, tema che resta assorbito dalle considerazioni sopra svolte.
1.3. La fondatezza del motivo di ricorso in esame impone di prendere atto che, dopo la pronunzia della sentenza impugnata, è maturato il termine massimo di prescrizione. Segnatamente, trattandosi di reato commesso il 23 gennaio 2012 (con termine di prescrizione di anni sette e mesi sei) e tenuto conto del rinvio del 30 settembre 2016 per legittimo impedimento del difensore, il termine massimo di prescrizione è maturato il 22 settembre 2019. A proposito degli effetti civili, invece, il Giudice civile di rinvio dovrà rivalutare la regiudicanda, in primo luogo, interrogandosi, articolo per articolo, circa la visibilità di ciascuno rispetto al prodotto complesso e ragionando, quindi, della loro tutelabilità come modelli e disegni; nel caso in cui questa verifica si concluda con esito positivo, il Giudice del rinvio dovrà poi affrontare l’ulteriore tema dell’applicabilità, nella specie e tenuto conto delle caratteristiche concrete dei prodotti, della clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i. 2.
Il secondo motivo di ricorso è parzialmente fondato. Esso concerne il reato di cui al capo A), assumendo – in primo luogo – che i Giudici di merito, pur non prosciogliendo gli imputati, non avevano contraddetto il dato già agitato dalle parti e asseverato anche dal Tribunale del riesame, secondo cui i due prodotti complessi indicati nell’imputazione (due aspirapolvere) non erano interessati da contraffazioni (perché la parte aveva giustificato la detenzione imputandola a richieste di riparazione e/o rottamazione). In secondo luogo – hanno osservato i ricorrenti – il resto dei prodotti erano tutti beni di consumo o parti di ricambio interne al prodotto complesso, non visibili e, quindi, non tutelabili neanche come modello – considerato il principio di esaurimento ed il concetto di brevetto per invenzione – né ulteriormente ed autonomamente tutelabili rispetto al prodotto complesso, comunque sostenendo, infine, l’applicabilità della clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i. Nei motivi aggiunti, i ricorrenti hanno formulato osservazioni analoghe, riportando altresì le immagini dei prodotti.
2.1. Ebbene, il primo segmento del motivo di ricorso è fondato, in particolare, in quanto la Corte di appello ha ragionato esclusivamente sull’applicabilità, ai brevetti, della clausola di riparazione di cui all’art. 241 c.p.i., ma non ha svolto alcuna specifica considerazione a proposito dei due aspirapolvere indicati nell’imputazione, che la parte sostiene essere prodotti originali, affidati alla società Manzo per attività di riparazione/rottamazione.
2.2. E’ inammissibile, invece, l’argomento di censura che affronta il tema della tutelabilità, nella disciplina dei brevetti, delle parti di consumo e di ricambio interne al prodotto complesso. Tale aspetto della regiudicanda, infatti, non era stato affrontato nell’appello con argomentazioni specifiche, benché il Tribunale avesse sostenuto che la documentazione acquisita dimostrava che le varie tipologie di prodotti erano state tutte autonomamente registrate presso l’autorità amministrativa attraverso idonea e regolare brevettatura da parte della Vorwerk, osservazione in fatto che l’appello non ha specificamente smentito e che è stata ribadita dalla Corte di appello. Ne consegue che l’appello era, in parte qua, inammissibile giacché, come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli Rv. 268823), « l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato». Ne deriva, di conseguenza, l’inammissibilità del ricorso che contesta la decisione della Corte territoriale su questo specifico aspetto, per il quale la parte non l’aveva validamente investita. Non solo: le critiche che il ricorso muove alla sentenza impugnata fondano su considerazioni vaghe e in parte non pertinenti, citando apoditticamente il principio di esaurimento e affidandosi a citazioni giurisprudenziali, senza, tuttavia, concretizzare, sulla base dei tratti di pronunzie trascritti nel ricorso, una vera e propria censura che concerna specificamente il tema della tutelabilità dei brevetti per invenzioni rilasciati per le singole parti di un prodotto complesso. Si pensi che Sez. 1, n. 6644 del 24/07/1996 (Rv. 498704) evocata nel ricorso è risalente e relativa ai modelli ornamentali e che il passaggio di Sez. 2 n. 28847/2015 è tratto da un’altra sentenza di questa Corte, ove la questione non era quella del brevetto, ma quella, del tutto diversa, della riproducibilità del marchio su singole parti di un prodotto complesso. Né questa Corte di legittimità può effettuare autonomamente una valutazione circa la validità formale dei brevetti, sia perché trascenderebbe nel merito della regiudicanda, sia perché detta validità formale non è stata oggetto di specifica doglianza sia in sede di appello che di ricorso. Inoltre, a segnare la distanza rispetto ai motivi che hanno condotto all’annullamento della sentenza quanto al reato di cui al capo C), deve dirsi che nella sentenza impugnata difetta, a differenza che in quel caso, un passaggio motivazionale che evidenzi un possibile errore, da parte del Giudice di merito, nel vaglio circa la validità della protezione accordata ai prodotti da altrettanti brevetti per invenzione. L’inammissibilità di questa porzione dei motivo di ricorso in esame importa l’inammissibilità anche della corrispondente censura che si legge nei motivi nuovi.
2.3. In terzo luogo, il ricorso è infondato quando invoca l’applicazione dell’art. 241 c.p.i anche ai brevetti per invenzioni, correttamente esclusa sia dalla Corte di appello che dal Tribunale quanto al settore dei brevetti. La clausola di riparazione, è prevista dall’art. 241 c.p.i. (Diritti esclusivi sulle componenti di un prodotto complesso), che recita: 1. Fino a che la direttiva 98/71/CE del parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1998, sulla protezione giuridica dei disegni e modelli non sarà modificata su proposta della commissione a norma dell’articolo 18 della direttiva medesima, i diritti esclusivi sui componenti di un prodotto complesso non possono essere fatti valere per impedire la fabbricazione e la vendita dei componenti stessi per la riparazione del prodotto complesso, al fine di ripristinarne l’aspetto originario.» Ebbene, già il suo contenuto letterale fornisce una chiara indicazione interpretativa, dal momento che il riferimento testuale alla direttiva 98/71/CE del parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1998, sulla protezione giuridica dei disegni e modelli lascia comprendere che la disposizione si riferisce a questi ultimi. Conferma a detta conclusione si trae dalla stessa collocazione dell’articolo nell’ambito del c.p.i., laddove – nell’ambito del Capo VIII (Disposizioni transitorie e finali) – esso è inserito nella Sezione II dedicata ai soli “disegni e modelli”. Conforta questa interpretazione la giurisprudenza di questa Corte che, benché affrontando l’argomento quanto all’applicabilità dell’art. 241 cit. ai marchi, ha valorizzato le medesime considerazioni appena svolte per sostenere la tesi dell’applicabilità della disposizione ai soli modelli e disegni (Sez. 2, n. 28847 del 18/06/2015, Viola, Rv. 264149; Sez. 5, n. 37451 del 13/05/2014, Meo, Rv. 262202; Sez. 2, n. 28847 del 18/06/2015, Rv. 264149).
2.4. L’ammissibilità complessiva del motivo appena esaminato impone, sul versante penale, di prendere atto dell’intervenuta prescrizione del reato, calcolata negli stessi termini del reato sub c), cui si rinvia; agli effetti civili, invece, la sentenza deve essere annullata per vizio di motivazione quanto ai due aspirapolvere, con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, mentre, per il resto, i ricorsi vanno, in parte qua, rigettati.
3. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
3.1. I ricorrenti lamentano omessa motivazione a proposito del dato, emerso dall’istruttoria dibattimentale e rimarcato dalla difesa, che i clienti degli esercizi non avevano possibilità di accedere direttamente ai prodotti (immagazzinati in locale retrostante) e che questi ultimi venivano mostrati dal personale agli avventori solo dopo che era stato loro spiegato che si trattava non già di prodotti originali, ma solo compatibili; tanto escludeva l’idoneità della condotta rispetto alla concretizzazione del pericolo, nel caso di specie da escludere perché il prodotto veniva mostrato al cliente dall’addetto alle vendite previa spiegazione della sua non originalità.
3.2. Orbene, le ragioni della fondatezza della doglianza risiedono nel fatto che, nell’atto di appello, le parti avevano analiticamente evocato le risultanze dell’istruttoria dibattimentale, con particolare riferimento all’escussione dei dipendenti della Manzo che avevano riferito circa le modalità di vendita dei prodotti di cui alle imputazioni, onde dimostrare che queste ultime escludevano in radice il pericolo che il consumatore fosse indotto in errore circa la provenienza del prodotto dalla Vorwerk. Ebbene, la sentenza impugnata nulla ha osservato a proposito dei contributi dichiarativi suddetti, limitandosi ad affermare che l’impatto visivo risultava tale da ricondurre quelli in questione ai prodotti commercializzati dalla Vorwerk nonostante la non sovrapponibilità grafica delle immagini, a cagione della collocazione delle scritte “adattabile per” o “passendfur” a ridosso del solo modello di elettrodomestico. Manca, dunque, un vaglio della rilevanza pro reo dei plurimi contributi dichiarativi dei testi a difesa, onde poter valutare, con pienezza di cognizione, quale fosse la modalità di vendita dei prodotti come emersa in dibattimento e chiedersi, di conseguenza, se quella modalità fosse idonea a neutralizzare del tutto il pericolo di inganno per il cliente.
3.3. Anche in questo caso va rilevata la prescrizione del reato, calcolata negli stessi termini dei capi A) e C), mentre la sentenza impugnata va annullata agli effetti civili, con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello affinché ponga rimedio ai vizi motivazionali sopra enucleati.
4. Il Collegio non reputa, invece ammissibile il quarto motivo di ricorso, che riguarda tutte le imputazioni ed affronta il tema del coefficiente soggettivo, dell’errore di fatto e dell’errore di diritto rilevante ex art. 5 cod. pen. in cui sarebbero incorsi gli imputati quanto alla protezione accordata ai prodotti, trattandosi di motivo inedito. Va, a questo riguardo, ribadito il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute con la dovuta specificità alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (cfr. l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla violazione di legge; si vedano, con specifico riferimento al vizio di motivazione, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, Di Domenica).
5. Deve infine rilevarsi che quello indicato come quinto motivo di ricorso in effetti consiste in una richiesta di rimettere gli atti alle Sezioni Unite di questa Corte, data la confusione esegetica che regnerebbe in tema di proprietà industriale. A questo proposito il Collegio non ha ritenuto sussistere i presupposti per dare seguito alla sollecitazione delle parti, non rilevandosi contrasti nella giurisprudenza delle sezioni semplici di questa Corte quanto ai risvolti penalistici della violazione delle norme sulla protezione dei disegni e modelli e dei brevetti né trattandosi di questione di speciale importanza.
6. Il sesto ed ultimo motivo di ricorso è assorbito dall’annullamento agli effetti penali della presente sentenza.
7. Il governo delle spese è rimesso al Giudice civile di rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, agli effetti penali, senza rinvio per essere i reati estinti per prescrizione. Annulla la stessa sentenza agli effetti civili limitatamente al capo A con riferimento ai due aspirapolveri interi e, in toto, ai capi CeDe rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello. Rigetta nel resto i ricorsi. Spese della pc al definitivo.
Così deciso il 15/09/2020
Depositato in cancelleria il 29 ottobre 2020