Con ordinanza n. 2977 pubblicata il 7 febbraio 2020, la Corte di Cassazione ha effettuato una dettagliata ricostruzione dei criteri utili alla valutazione della contraffazione per equivalente.
La decisione è intervenuta a valle di un procedimento incardinato da una società titolare di un brevetto italiano dal titolo “Processo e impianto per l’estrazione e concentrazione del tannino da legno e altri prodotti naturali” e di una domanda di brevetto europeo relativa al medesimo trovato. Successivamente al primo grado di giudizio, la Corte d’Appello di Bologna aveva rigettato la domanda di accertamento della contraffazione. La pronuncia è stata tuttavia cassata in sede di legittimità.
In particolare, la Suprema Corte, muovendo dal presupposto che il comma 3-bis dell’art. 52 del Codice della proprietà industriale, introdotto con il D.Lgs. n. 131 del 2010, “ha esplicitamente riconosciuto la tutela degli equivalenti […] disponendo che ‘per determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto si tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni’”, ha statuito che “un prodotto o procedimento, pur formalmente diverso dall’invenzione brevettata, può essere comunque a quest’ultima equiparato e così ricondotto nell’ambito di protezione della privativa” senza che sia a tal fine necessaria una “riproduzione integrale e letterale di tutti gli elementi dell’invenzione”.
La principale innovazione attiene al fatto che la Cassazione ha scelto di non indagare la contraffazione applicando il “cosiddetto triple identity test […] tratto dalle esperienze giurisprudenziali americane”. Trattasi, in particolare, di un modello di analisi attraverso il quale la contraffazione per equivalente si ravvisa allorquando le varianti apportate nel prodotto contraffattivo introducono sì mezzi diversi, che adempiono tuttavia alla stessa funzione assolta dai mezzi previsti nella rivendicazione, garantendo il conseguimento del medesimo risultato tecnico.
La Suprema Corte ha invece inteso adottare il criterio di matrice tedesca che “considera come sintomo della contraffazione per equivalenti l’ovvietà o non originalità della soluzione sostitutiva adottata dal contraffattore rispetto alla soluzione brevettata, avuto riguardo alle conoscenze medie del tecnico del settore”. Non rileverebbe quindi “la variazione, seppure originale, apportata ad un singolo elemento del trovato brevettato, se la variazione non consenta di escludere l’utilizzazione, anche solo parziale, del brevetto anteriore”. Inoltre “al fine di valutare se la realizzazione contestata possa considerarsi equivalente a quella brevettata […] occorre accertare se, nel permettere il raggiungimento del medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità, offrendo una risposta non banale, né ripetitiva della precedente dovendosi qualificare per tale quella che ecceda le competenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema, poiché solo in questo caso si può ritenere che la soluzione si collochi al di fuori dell’idea di soluzione protetta”.