Decaduto il marchio UE della Ferrari 250 GTO

Con decisione del 29 maggio 2020 l’EUIPO (European Union Intellectual Property Office) ha dichiarato decaduti i diritti di Ferrari S.p.A. sul proprio marchio UE corrispondente all’aspetto di una Ferrari 250 GTO.

Nel caso in esame l’EUIPO ha infatti ritenuto non sufficienti a provare l’uso attuale del marchio le compravendite delle autovetture originali in aste internazionali. Il tutto poiché “tali vendite non costituiscono un uso effettivo imputabile alla titolare del marchio, perché quest’ultimo non ha alcuna influenza su queste rivendite”. Nemmeno i servizi post-vendita forniti da Ferrari ai propri collezionisti sotto il marchio “ombrello” FERRARI e/o quello più specifico “Ferrari Classiche” appaiono rilevanti. L’unico uso risultato documentato è quello in relazione ai veicoli giocattolo ed ai modelli in scala della mitica GTO venduti in tutta Europa.


Negata la registrazione del marchio “LEGNOLAND”: c’è rischio di confusione con “LEGOLAND”

Con una recente decisione, l’EUIPO ha negato la registrazione di “LEGNOLAND” come marchio UE per il rischio di confusione con “LEGO” e “LEGOLAND”.

L’Ufficio ha infatti affermato che, nel caso di specie, sussiste il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese collegate economicamente ai sensi dell’art. 8 RMUE. Tale disposizione, infatti, al paragrafo 1, lettera b), prevede che il marchio richiesto non può essere registrato se, a causa della sua identità o somiglianza con il marchio anteriore e l’identità o somiglianza dei prodotti o servizi coperti da altri marchi, esiste un rischio di confusione da parte del pubblico nel territorio in cui il marchio anteriore è protetto. Proprio la possibilità che il pubblico possa credere che i relativi prodotti o servizi provengano dalla stessa impresa o da imprese collegate fonda tale rischio.


La Corte di Cassazione sulla tutela penale del segreto commerciale

Con sentenza n. 16975, dell’11 febbraio 2020, la Corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna in una fattispecie in cui gli imputati avevano sottratto i segreti industriali di una nota multinazionale operante nel settore delle chiavi dinamometriche, con la quale avevano in precedenza collaborato, utilizzandoli per realizzare prodotti concorrenziali destinati al medesimo mercato di riferimento.

La motivazione è estremamente articolata e stabilisce importanti principi di diritto, delineando con chiarezza e rigore sistematico l’ambito di tutela offerto dall’art. 623 cod. pen., anche alla luce delle recenti modifiche normative introdotte dal D.Lgs. 11 maggio 2018, n. 63, con cui si è data attuazione alla Direttiva (UE) n. 2016/943 in materia di intellectual property e trade secret.

Particolarmente significativa è la parte di motivazione in cui la Suprema Corte riconosce come non vi sia una totale assimilazione tra il segreto industriale di cui all’art. 623 cod. pen. e quello di cui all’art. 98 CPI. La Corte, al contrario, sottolinea che, invece, è proprio il CPI, facendo salva all’art. 99 la disciplina della concorrenza sleale, a riconoscere “l’esistenza di segreti industriali che, pur non rispondendo ai criteri indicati dall’art. 98 CPI, sono meritevoli di tutela”.

In sostanza, la Corte ha ritenuto che l’eventuale assenza degli elementi (o anche solo di uno di essi, nel caso di specie la carenza di presidi di sicurezza) previsti dall’art. 98 CPI non esclude che l’informazione sottratta sia protetta penalmente, laddove – come nel caso deciso dalla sentenza in esame – vi sia un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento del segreto.


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