La Cassazione sul nome a dominio che violi un marchio registrato

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in materia di interferenza tra marchio e nome a dominio. Nel caso in esame, RTI S.p.A., in qualità di titolare del marchio registrato “NONSOLOMODA” conveniva in giudizio Computer Line S.r.l. ed il Sig. Riccardo Nicolò Riso. In particolare, RTI contestava la registrazione del dominio www.nonsolomoda.it, contenente un sito diretto a promuovere attività di sarto e vendita di telefonia. Il Tribunale di primo grado accoglieva l’azione legale di RTI, dichiarando che la registrazione del dominio www.nonsolomoda.it costituiva violazione del marchio registrato di RTI. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava l’esito del giudizio.

Nel terzo grado di giudizio, la Cassazione revocava la sentenza d’appello. La Corte rilevava, infatti, come il marchio Nonsolomoda avesse acquistato rinomanza anche per effetto della nota, ed omonima, trasmissione diffusa a livello nazionale. Dette circostanze assumono rilievo a mente dell’art. 22 c.p.i. Tale norma, in particolare, vieta di adottare come domain name un segno eguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni e i prodotti o servizi per i quali il marchio adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Il secondo comma dello stesso articolo precisa, poi, che tale divieto si estende all’adozione di un nome a dominio uguale o simile a un marchio registrato per i prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza. Il tutto, laddove l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio, o reca pregiudizio agli stessi.


La forza del marchio patronimico

In una recente ordinanza, la Cassazione, chiamata a pronunciarsi su un caso di contraffazione, si è soffermata sulla tutela del marchio patrominico.
Il Sig. Camillo Zaccagnini, titolare dell’omonima impresa agricola, proponeva appello avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma, in accoglimento delle domande contro di lui spiegate da Azienda Agricola Ciccio Zaccagnini S.r.l. di Marcello Zaccagnini, aveva dichiarato la nullità dei marchi «Azienda Agricola Zaccagnini Le Tre Colline» e «Zaccagnini Camillo», inibito l’uso degli stessi segni, disposto il ritiro dal commercio dei prodotti recanti i marchi in contraffazione e condannato il predetto appellante al risarcimento dei danni in favore della società attrice. La Corte di appello di Roma, rigettava l’impugnazione. Camillo Zaccagnini ha quindi opposto in Cassazione la sentenza.

La Suprema Corte, con la decisione in esame (Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2021, n. 25069), dopo un’approfondita analisi della tutela del marchio patronimico, ha rigettato il ricorso. In particolare, quanto alla legittimità dell’uso del patronimico Zaccagnini da parte del ricorrente, la Corte osserva quanto segue. L’art. 8, comma 2, c.p.i. precisa che la registrazione del marchio patronimico non impedisce a chi abbia diritto al nome di farne uso nella ditta prescelta, sempre che sussistano i presupposti dell’art. 21, comma 1, c.p.i.: questo dispone che i diritti di marchio d’impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale, del loro nome e indirizzo.

Ciò posto, la Corte di merito ha accertato che l’utilizzo del patronimico Zaccagnini da parte del ricorrente dovesse ritenersi illecito, proprio in quanto attuato in violazione dei principi di correttezza professionale, determinando l’associazione dei marchi della ditta appellante a quelli della ben più nota società appellata.


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