Il marchio notorio: Ferrari contro Philipp Plein

Il Tribunale di Milano ha condannato Philippe Plein a risarcire Ferrari per l’illegittimo utilizzo dei celebri marchi automobilistici nel corso della presentazione di una collezione moda.
In particolare, Ferrari contestava l’indebito utilizzo ed appropriazione dei pregi relativi al proprio marchio, con conseguente rischio di associazione con la casa di moda. Il tutto, oltre al pericolo di confusione tra l’abbigliamento a marchio Ferrari e quello prodotto invece dalla convenuta.

Il Tribunale ha preliminarmente rilevato che, in materia di marchi rinomati, le violazioni contro le quali è assicurata la relativa tutela sono le seguenti.
1) La diluizione, laddove risulti indebolita l’idoneità del segno ad identificare i prodotti o i servizi di cui alla registrazione.
2) La corrosione, nel caso in cui le modalità di utilizzo del segno possano compromettere il potere attrattivo del marchio rinomato.
3) Il parassitismo, da ricollegarsi all’illegittimo vantaggio tratto dal terzo quale conseguenza dell’uso del segno identico o simile al marchio rinomato.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ha sancito che l’utilizzo delle autovetture Ferrari, peraltro decorate con i segni distintivi della convenuta, nel corso di una sfilata di moda, costituisca illegittimo utilizzo del marchio di proprietà dell’attrice. Tale attività configura infatti un illegittimo agganciamento ai tratti distintivi del segno rinomato.


La CGUE sul deposito del marchio da parte dell’agente o distributore

Con una recente sentenza, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata per la prima volta sull’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 3, Regolamento n. 2017/1001. Secondo tale norma, laddove la domanda di registrazione di marchio sia stata presentata dal rappresentante del titolare senza il suo consenso, questa deve essere rifiutata.

Nel caso in esame, Jerome Alexander Consulting Corp., titolare del marchio statunitense «MAGIC MINERALS BY JEROME ALEXANDER», incaricava John Mills Ltd. della distribuzione dei propri prodotti. In particolare, il contratto di distribuzione aveva ad oggetto anche il territorio dell’Unione Europea.
In data 18.09.2013, John Mills presentava domanda di registrazione di marchio UE presso lo European Union Intellectual Property Office (EUIPO). Il marchio di cui veniva chiesta la registrazione era il segno denominativo «MINERAL MAGIC». Il 23.04.2015, Jerome Alexander Consulting proponeva opposizione alla registrazione, per deposito in malafede. Dopo i primi due gradi di giudizio, la questione giungeva alla Corte di Giustizia.

Ebbene, secondo la Corte, l’applicazione della norma in parola non può essere limitata all’ipotesi di identità tra il marchio anteriore e quello di cui l’agente o il rappresentante abbia chiesto la registrazione. Al contrario, tale disposizione deve essere estesa anche ai casi di somiglianza tra i segni, come nella fattispecie in esame.


Cessione di Intellectual Property o di ramo d’azienda? La risposta dell’Agenzia delle Entrate

La cessione tra imprese di asset di intellectual property, insieme al magazzino, integra una struttura organizzativa aziendale, in quanto trattasi di una serie di elementi che, combinati tra loro, possono prefigurare un’organizzazione potenzialmente idonea, nel suo complesso, allo svolgimento di un’attività economica a sé stante. Così si è espressa l’Agenzia delle Entrate nel parere formulato nella risposta ad interpello n. 546 del 12 novembre 2020.

Nel caso in esame, la Società ALFA operava nel settore della produzione e del commercio all’ingrosso di profumi e cosmetici, collaborando con griffe e designer della moda italiana. ALFA negoziava con BETA i termini e le condizioni per l’acquisizione della proprietà piena ed esclusiva di determinati marchi nel campo della profumeria, nomi a dominio, formule e know-how. Il tutto, oltre al magazzino di ALFA, composto da prodotti finiti. Dagli elementi forniti, l’Agenzia delle Entrate, ha ritenuto che l’oggetto della cessione consistesse in una struttura organizzativa aziendale. Trattasi, infatti di una serie di elementi che, combinati tra loro, possono prefigurare un’organizzazione potenzialmente idonea allo svolgimento di attività economica.

Nel caso di specie, sulla base di quanto rappresentato, l’Erario ha ritenuto che l’operazione descritta fosse qualificabile come cessione di ramo di azienda, non quale cessione di singoli beni e, in quanto tale, esclusa dal campo di applicazione dell’IVA.


Il team di Intellectual Property di S&G è a vostra disposizione per ogni chiarimento.