La Corte di Cassazione ha recentemente sondato le condizioni che permettono ad una combinazione cromatica di valere quale marchio di fatto. In particolare, i giudici di legittimità hanno dettato un criterio per distinguere un uso meramente ornamentale di una combinazione di colori da quello prettamente distintivo.

Il marchio di fatto

Per “marchi di fatto” si intendono quei segni per cui non è stata richiesta la registrazione, pur godendo delle caratteristiche per far fronte a quest’ultima.

Espressamente presi in considerazione dall’art. 2571 c.c., il Codice della Proprietà Industriale – pur conoscendoli e disciplinandoli – non li nomina mai, inserendoli nella più ampia categoria dei segni distintivi diversi dal marchio registrato (cfr., ad esempio, artt. 1 e 2, co. 4 c.p.i.).

La pronuncia della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, nella decisione n. 5491/2022, si è pronunciata sula distintività di una particolare combinazione cromatica, formata da una serie di “strisce” di colori differenti.

I giudici di legittimità hanno accolto il criterio fissato dalla Corte di Giustizia UE (caso C-49/02) circa la possibile tutela di combinazioni cromatiche, purché rappresentate graficamente in modo preciso secondo codici di identificazione internazionalmente riconosciuti e secondo una disposizione sistematica che associ i colori in modo predeterminato e costante e cioè in modo tale “da consentire al consumatore di percepire e memorizzare una combinazione particolare che egli potrebbe utilizzare per reiterare, con certezza, una esperienza di acquisto“.

In particolare, proprio la costanza e la stabilità nell’uso della combinazione cromatica sarebbero elementi idonei a porre un discrimine tra un uso ornamentale ed uno distintivo del segno.

Difatti, solo l’uso costante della stessa combinazione cromatica permetterebbe ai consumatori di percepire quel rapporto fra prodotti e produttore a cui il marchio è adibito.