Gli Stati Uniti hanno annunciato di essere a favore della sospensione dei brevetti per i vaccini contro il coronavirus, in modo da consentirne la produzione anche ad altre aziende oltre a quelle che li hanno sviluppati e ne detengono la proprietà intellettuale. La presa di posizione del governo Biden ha generato un vivace dibattito sulla questione. In realtà, è già da tempo che alcune organizzazioni, tra le quali la statunitense I-MAK, si battono per una revisione del sistema brevettuale in ambito farmaceutico. Tuttavia, il dibattito non aveva mai raggiunto un livello davvero globale.
Ma andiamo con ordine.


Cos’è un brevetto?

Il brevetto è un titolo giuridico che conferisce al proprietario un monopolio su un’invenzione, limitato nel tempo e territorialmente. Più precisamente, il titolare possiede il diritto di vietare a terzi di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare i prodotti oggetto di brevetto.
Il brevetto ha una durata di 20 anni dalla data di deposito (10 anni per i brevetti per modello di utilità). Gli effetti, inoltre, sono limitati al territorio in cui il brevetto è registrato.
Facciamo un esempio. Astra Zeneca è titolare del brevetto (in realtà un insieme di brevetti) sul proprio vaccino contro Covid-19. Nessun altro, pertanto, nel territorio ove esiste il titolo, per 20 anni dal deposito del brevetto, potrà lecitamente realizzare il vaccino in parola senza l’autorizzazione di Astra Zeneca.
Quindi se i brevetti in questione venissero sospesi, la produzione potrà aumentare, come sostiene il governo USA? In realtà la questione non è così semplice.


Una prima controversa questione

In primo luogo, si deve comprendere che il brevetto non è uno strumento a tutela di poche elitarie big company. Il brevetto è in realtà uno strumento a tutela della collettività e dell’innovazione tecnologica. Si tratta di un contratto tra lo Stato e l’inventore: l’inventore mette a disposizione della collettività la propria scoperta tecnologica, pubblicando, appunto il brevetto (nel quale sono chiaramente descritte le modalità utili a replicare l’invenzione) e lo Stato riconosce all’inventore un monopolio per un periodo limitato. Il brevetto è quindi il premio che l’inventore acquisisce per avere divulgato l’idea inventiva, dopo aver investito, tempo, risorse e denaro nello sviluppo di una tecnologia che, senza l’apporto dello stesso, non sarebbe mai venuta alla luce mantenendo l’umanità nello stato tecnologico antecedente all’invenzione. Ecco, queste risorse di cui parliamo nel caso dei vaccini si traducono in anni di ricerca, utilizzo di personale altamente qualificato e investimenti incredibilmente ingenti.

Alla luce di tali considerazioni, possiamo già scorgere un primo problema: sospendere i brevetti sui vaccini in ragione della loro rilevanza per la tutela contingente della salute, porrebbe le basi per un pericoloso precedente. Sarebbe come dire che gli sforzi sostenuti dai pionieri dell’innovazione tecnologica debbano essere ripagati solo per le invenzioni non essenziali per la vita umana. Ma a ben vedere sono proprio queste le invenzioni più importanti, quelle per cui lo Stato dovrebbe essere più riconoscente. Potrebbe, in sostanza, passare l’idea che il brevetto sia sì uno strumento di innovazione, ma solo per quelle di “Serie B”, con ogni evidente risvolto negativo.
Ma c’è dell’altro. Sono, infatti, in molti a ritenere che, anche sospendendo i brevetti, non si assisterebbe comunque ad un incremento della produzione di vaccini.

In realtà quella sopra indicata non è una semplice previsione, è un dato di fatto: già due famiglie brevettuali, quelle dei vaccini Moderna e AstraZeneca, sono state messe a disposizione di chiunque sia in grado di produrli. Moderna l’ha fatto di sua sponte mettendo a disposizione gratuitamente e finché duri l’emergenza pandemica il suo brevetto a chi possa dimostrare di essere in grado di produrre in sicurezza i vaccini. Il brevetto di AstraZeneca è invece a disposizione perché lo sviluppo del suo vaccino nasce anche grazie una serie di finanziamenti del Governo inglese e della Fondazione Bill e Melinda Gates e di altri che hanno, tra l’altro, condizionato quel finanziamento al fatto che fosse venduto al prezzo di costo.
Eppure quasi nessuno si è fatto avanti per produrre i vaccini in parola.
E la ragione di ciò è da ricercare in due distinte motivazioni: la prima di natura pratica, la seconda strettamente legale.


Il problema pratico

La produzione di un vaccino richiede l’utilizzo di materiali e macchinari complessi ed assai costosi, capitale umano di altissima qualità, oltre a cospicui trasferimenti di conoscenze da parte di chi abbia ideato i vaccini stessi e sviluppato il sistema produttivo. Parliamo quindi di esborsi assai considerevoli, senza alcuna certezza di rientrare nell’investimento sostenuto.


Il problema legale

I vaccini in questione, soprattutto quelli a mRNA, e le tecnologie per produrli sono basati su molti altri brevetti depositati in passato da altri centri di ricerca e produttori, non ancora scaduti. Ecco questi brevetti non sono messi a disposizione delle società produttrici del vaccino gratuitamente. Moderna, in particolare, ha già dichiarato di corrispondere alcune licenze per poter realizzare e vendere il proprio vaccino. Quindi anche le altre aziende dovrebbero fare altrettanto. Tale aspetto incide ulteriormente sugli investimenti da sostenere.


Chi a favore e chi contro

Tra i principali sostenitori della sospensione ci sono India e Sudafrica, alla guida di un gruppo di almeno 60 Paesi che da ormai sei mesi chiede una revisione delle regole per i brevetti dei vaccini. Finora la proposta si era scontrata con la contrarietà dell’Unione Europea e, fino a poco tempo fa, degli Stati Uniti.
In precedenza la direttrice del WTO, Ngozi Okonjo-Iweala, aveva sostenuto la necessità di un trasferimento di conoscenze per la produzione dei vaccini contro il coronavirus, se i detentori dei brevetti non fossero stati in grado di produrre e consegnare tutte le dosi necessarie. Oltre ai governi di diversi Paesi in via di sviluppo, questa posizione è condivisa anche da associazioni e organizzazioni senza scopo di lucro che forniscono assistenza sanitaria, come la stessa Amnesty.
Il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha definito la nuova posizione degli Stati Uniti “storica, un grande momento per la lotta contro la COVID-19”.
In Unione Europea le posizioni sono molto divise. Il Comitato Europeo delle Regioni si è già espresso a favore della sospensione. A favore sono anche Francia e Italia. Pesa invece il parere nettamente negativo della Germania.


Quali gli scenari possibili?

Trovare il consenso tra 164 Paesi per autorizzare la sospensione dei brevetti da parte della WTO non sarà comunque semplice e richiederà mesi. Nel frattempo, i Paesi dove si producono materialmente i vaccini dovrebbero attivarsi per aumentare il più possibile la produzione, aprendo inoltre a nuove iniziative per esportare i vaccini nei Paesi in cui le campagne vaccinali non sono ancora potute iniziare su larga scala.

Questo porterebbe quantomeno a rimandare il problema, ma non è proprio così.
Nel caso in cui ci siano motivi di emergenza, infatti, i Governi hanno la possibilità di sospendere temporaneamente il monopolio dato da un brevetto, se ciò può tradursi in un beneficio per la collettività come migliorare la salute pubblica. La Risoluzione 58.5 dell’Assemblea mondiale della sanità (AMS), l’organo legislativo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), prevede che durante una pandemia i Governi possano attuare tutte le misure necessarie per migliorare la fornitura di farmaci e vaccini, compresa la possibilità di intervenire sull’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPS), lo standard per la gestione della proprietà intellettuale in ambito internazionale.
Un Governo ha inoltre la possibilità di stabilire una licenza obbligatoria, cioè per poter utilizzare il brevetto anche senza il consenso di chi lo ha registrato. L’articolo 31 del TRIPS prevede che in caso di emergenza un governo possa procedere senza dovere avvisare preventivamente l’inventore, che deve comunque essere aggiornato non appena possibile. Le regole della WTO danno quindi la possibilità ai singoli Governi di mantenere una certa autonomia nella decisione sulla sospensione del monopolio.

Il problema dei vaccini è evidente: poche dosi a fronte di un fabbisogno sostanzialmente mondiale. Ma l’impressione è che si cerchi la soluzione nel posto sbagliato. Ed i casi di AstraZeneca e Moderna lo dimostrano. Il dilemma pare piuttosto da attribuirsi alla capacità produttiva delle imprese ed al timore delle stesse di non rientrare dagli investimenti eventualmente supportati.
Sono del resto numerose le istituzioni che accusano l’amministrazione statunitense di avere sfruttato la situazione emergenziale come cassa di risonanza per riportare sul tavolo mondiale le proprie opinioni circa il sistema brevettuale farmaceutico. Al contrario, secondo molti, la soluzione più sensata sarebbe quella di prevedere finanziamenti per le imprese locali per rafforzare la loro capacità produttiva finalizzata ad avviare partnership con aziende che sono titolari di brevetti. È del resto quello che si sta provando già fare in diversi Paesi, compresa l’Italia.
Forse l’allargarsi del dibattito porterà i Governi ad approfondire radici e soluzioni al problema dell’offerta dei vaccini e sarebbe utile discuterne senza facili populismi e speculazioni demagogiche.