Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in Materia di Imprese

SENTENZA

n. 16508/2020 pubbl. 23/11/2020

(Giudice relatore: dott. Stefania Garrisi)

nella causa civile di primo grado n. 30588 del ruolo generale per

gli affari contenziosi dell’anno 2016 ritenuta in decisione

all’udienza del20 maggio 2020

TRA

SPORTLAB S.R.L., con gli avv. VECCHIONE ANGELA e GIULIA POLESELLO

Attrice

E

GRIFFES S.R.L.

Convenuta contumace

OGGETTO: contraffazione marchio, concorrenza sleale e risarcimento del danno

CONCLUSIONI: come da note scritte depositate per l’udienza di precisazione delle conclusioni del 20 maggio 2020, tenutasi come previsto dall’art. 83 del D.L. n. 18/2020, conv. con modificazioni nella l. 24 aprile 2020, n. 27

Concisa esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto della decisione

1. Con ricorso cautelare ante causam la società SPORTLAB S.R.L. chiedeva l’inibitoria, la descrizione e il sequestro dei beni commercializzati dalla convenuta in contraffazione del marchio di cui la ricorrente è licenziataria esclusiva, come oltre precisato.

Con decreto del 30-31.12.2015 emesso inaudita altera parte veniva disposta la descrizione, poi confermata con ordinanza del 16-17.2.2016, oltre alla concessione delle altre misure richieste, l’inibitoria, il sequestro e la pubblicazione del dispositivo dell’ordinanza.

Con atto di citazione regolarmente notificato la SPORTLAB S.R.L., azionando il giudizio di merito conveniva, innanzi a questo Tribunale, la GRIFFES S.R.L., rassegnando le seguenti conclusioni:

“1. accertare e dichiarare che la convenuta si è resa responsabile di violazione dei diritti di proprietà industriale della società attrice, relativamente ai prodotti contrassegnati dai marchi azionati in giudizio, e quali descritti nella narrativa dell’atto di citazione, e di cui Sportlab s.r.l. è licenziataria esclusiva per l’Italia;

2. accertare e dichiarare che attraverso l’uso dei segni oggetto del presente giudizio la convenuta ha posto in essere atti di contraffazione, illeciti ai sensi delle norme a tutela dei diritti di proprietà industriale dell’attrice ed ha pure violato i diritti di esclusiva sui marchi registrati azionati in questo giudizio da Sportlab s.r.l. di cui la stessa è licenziataria esclusiva per l’Italia;

3. accertare e dichiarare che il comportamento della convenuta e/o l’attività dalla stessa posta in essere ha altresì integrato atti illeciti di concorrenza sleale, per confondibilità, e/o appropriazione di pregi, e/o uso di mezzi non corretti, ex art. 2598 n.ri 1 e/o 2 e/o 3 codice civile, in danno della società attrice;

4. inibire definitivamente alla convenuta, ex art. 124 D.Lgs. n. 30/2005, ed ex art. 2599 codice civile: ogni e qualsiasi forma di importazione e/o produzione e/o vendita e/o commercializzazione e/o pubblicizzazione e/o uso dei segni e prodotti di cui alla narrativa dell’atto di citazione e allegati documenti, e la prosecuzione dei comportamenti tutti di cui in narrativa degli atti depositati;

5. inibire definitivamente alla convenuta, anche ex artt. 2598, n.ri 1, 2 e 3 codice civile e 2043 codice civile, la prosecuzione degli atti e comportamenti tutti denunziati in atti, e, in particolare, di ogni comportamento di sleale concorrenza volto a creare confusione con i prodotti e/o i marchi e/o l’attività dell’attrice, e/o volto ad agganciarsi alla notorietà dei marchi azionati e/o dei prodotti oggetto di giudizio e/o volto a sfruttare indebitamente la notorietà dei marchi e dei prodotti oggetto di giudizio e/o a creare danno all’attrice;

6. disporre, ex art. 124 D.Lgs. 30/05 e successive modifiche, l’ordine di ritiro definitivo dal commercio delle calzature contraffatte recanti i marchi di cui alla narrativa degli atti depositati, anche nei confronti di altri proprietari o di soggetti terzi che ne abbiano la disponibilità;

7. assegnare in proprietà dell’attrice, ex art. 124, n. 4, D.Lgs. n. 30/05, tutte le calzature oggetto di giudizio, anche quelle sequestrate, recanti i marchi azionati, scatole, brochures, materiale informativo e quant’altro in qualsiasi modo collegato, autorizzando la stessa società attrice a procedere alla loro distruzione con integrale rivalsa per le spese, ex art. 124 D.Lgs. n. 30/05, n. 3;

8. fissare ai sensi dell’art. 124 n. 2, D.Lgs. 30/05, una somma, non inferiore ad euro 5.000,00 per ogni singola violazione di quanto ai nn. 4 e/o 5 e/o 6 e/o 7 che precedono e anche per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza;

9. condannare la convenuta al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi da Sportlab s.r.l., per danno emergente e per lucro cessante ed anche d’immagine e morali, per effetto degli illeciti posti in essere ed oggetto del presente giudizio, da liquidarsi in questo giudizio nell’importo che verrà indicato e quantificato in corso di giudizio, o in quella somma che parrà di giustizia, danno da liquidarsi anche tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, i benefici realizzati dalla convenuta (come previsto dall’art. 125 D.Lgs. n. 30/05), ed eventualmente quanto al lucro cessante facendone la liquidazione in una somma globale da stabilirsi in base agli atti di causa ed alle previsioni che ne derivano, e ad ogni utile presunzione derivante dagli atti e/o comunque in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. e 125 D.Lgs. n. 30/05; o disponendo, in via alternativa al risarcimento del lucro cessante, la restituzione degli utili realizzati dalla convenuta per la commercializzazione delle calzature recanti i marchi oggetto di giudizio, ed in ogni caso la restituzione di tali utili nella misura in cui gli stessi eccedano il risarcimento del lucro cessante, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria;

10. disporre la pubblicazione dell’emananda sentenza, a caratteri doppi del normale e con i nomi delle parti in grassetto, ai sensi dell’art. 126 D.Lgs. n. 30/2005, e successive modifiche, ed ai sensi della previsione di cui all’art. 2600 c.c., nelle seguenti riviste, quotidiani e siti: Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera, Il Gazzettino di Treviso, Il Giornale, per almeno due settimane consecutive, il tutto a cura dell’attrice ed a spese della convenuta, e con obbligo della stessa a rimborsare immediatamente all’attrice le spese della pubblicazione vista fattura;

11. condannare la convenuta alla rifusione integrale delle spese e compensi di lite, oltre al rimborso delle spese generali pari al 15%, e di quelle tecniche della presente fase di merito. Oltre IVA e CPA come per legge”.

Nessuno costituiva in giudizio per la GRIFFES S.R.L. che restava contumace.

Disposta la prova per interrogatorio formale del legale rappresentante di Griffes lo stesso, pur ritualmente citato, non compariva. Ordinata alla convenuta l’esibizione delle scritture e della documentazione contabile veniva altresì disposta una consulenza tecnica contabile.

All’esito la causa, all’udienza del 20 maggio 2020 tenutasi nelle forme della trattazione scritta ex art. 83 del D.L. n. 18/2020, conv. con modificazioni nella l. 24 aprile 2020, n. 27, veniva trattenuta per la decisione con l’assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

2. Va preliminarmente dichiarata la contumacia della GRIFFES s.r.l.

3. Nel merito, la domanda è fondata e va dunque accolta.

Preliminarmente non è inutile ricordare che il marchio è il segno distintivo di prodotti e/o servizi offerti al pubblico sul mercato, la cui fondamentale funzione è quella di differenziare i prodotti di un imprenditore da quelli dei concorrenti. Tale funzione distintiva consente al pubblico dei consumatori di riconoscere con facilità i prodotti provenienti da una data impresa, così da poter operare le proprie scelte in maniera consapevole. Deve, altresì, evidenziarsi la contestuale funzione di garanzia qualitativa che il marchio assicura ai prodotti stessi, il tutto sempre a beneficio dei consumatori e/o dell’utente finale.

E’ altresì principio pacifico in giurisprudenza quello per cui il licenziatario esclusivo ha un’autonoma legittimazione processale per l’azione di contraffazione “in quanto soggetto giuridico portatore del proprio autonomo interesse a poter godere, nell’ambito della licenza conferita, della percezione dei profitti che derivano dalla sua posizione di vantaggio concorrenziale” (cfr. Tribunale di Milano, Sez. Spec., (ord.) 31.10.2014).

E’ stato precisato che “Deve riconoscersi a legittimazione del licenziatario del marchio – quale portatore di un autonomo interesse che si affianca a quello del licenziante – ad agire per contraffazione e concorrenza sleale giacchè, infatti, il trasferimento dei diritti sul marchio, anche nella forma limitata del solo uso, comporta inscindibilmente il trasferimento anche di tutti i poteri nei quali si concreta l’uso esclusivo di esso, compreso quello di reagire alle sue violazioni, mentre gli attributi di assolutezza, inerenti al diritto sul marchio, escludono che altri possano servirsi nel territorio riservato al cessionario del medesimo marchio per contraddistinguere merci della medesima categoria” (cfr. Tribunale Roma sez. IX, 11/02/2011, n.2912).

Il principio è pacifico e affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “La legittimazione ad agire per contraffazione di un brevetto spetta sia ai licenziatari, sia ai distributori dei prodotti brevettati, in quanto anche questi ultimi sono dotati di un proprio interesse economico alla tutela dei prodotti da essi distribuiti” (cfr. Cassazione civile sez. I, 04/07/2014, n. 15350).

Come noto, per la validità della licenza d’uso di un marchio la legge non pretende la forma scritta ad substantiam e con ciò riconosce validità ed efficacia a detto contratto, ancorchè sia stato perfezionato in forza di un mero accordo orale oppure per facta concludentia, neanche prescrivendo la forma ad probationem con la conseguenza che la relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche mediante presunzioni.

In tal senso la giurisprudenza è costante nell’affermare, esemplificativamente, che “Il contratto di licenza di marchio è libero nelle forme e può essere stipulato tanto verbalmente quanto per fatti concludenti. La prova di tale negozio può essere raggiunta anche a mezzo di testimoni e per presunzioni, purchè idonei a manifestare il raggiunto consenso” (cfr. ex multiis, Trib. Milano, 28/03/2013, Trib. Milano, 11 marzo 2010, Trib. Torino, 11 giugno 2010, App. Milano, 17.9.2008; Trib. Milano 11.6.1987).

In particolare, sono stati ritenuti validi indici della sussistenza del contratto di licenza, tra gli altri, “una dichiarazione in tal senso del titolare del marchio e l’esistenza di un collegamento societario tra il titolare del marchio e il licenziatario” (cfr. Trib. Venezia, 10.04.06, Appello Milano 25.09.1992 in GADI 1992, 837).

Nel caso di specie la società attrice, la Sportlab s.r.l. ha agito in qualità di licenziataria e distributrice esclusiva per l’Italia del marchio denominativo ‘SAUCONY’ (cfr. doc. 1-4 allegati al ricorso cautelare), registrato per la classe 25 della Convenzione di Nizza (cfr. doc. 5 allegato al ricorso cautelare), che individua un particolare tipo di calzature sportive.

Ai fini della prova della propria qualità di licenziataria ha prodotto un Affidavit (cfr. doc. 2, cit.), a firma della titolare del marchio azionato in giudizio, Wolverine World Wide Inc., oltre alla dichiarazione dello studio legale della medesima (cfr. doc. 3, cit.), a conferma del rapporto di licenza concluso e del potere d’azione.

Il Collegio osserva inoltre che il marchio ‘SAUCONY’ è certamente notorio e rinomato per le calzature sportive che individua.

In condivisione del significato di rinomanza o notorietà offerto dalla Corte di Giustizia UE, è marchio rinomato, o che gode di notorietà, il marchio conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi contrassegnati, non essendo necessario che detta rinomanza sia necessariamente equivalente alla celebrità nè che essa sia affermabile come conoscenza anche al di fuori dell’ambito merceologico in cui il marchio si è affermato (cfr. Corte di Giustizia CE 14/9/1999): al fine di accertare la rinomanza del marchio occorre prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti nella fattispecie e cioè la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonchè l’entità degli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo, le campagne pubblicitarie svolte (cfr. Tribunale di Milano, Sez. Spec., (ord.) 31.10.2014; Trib. Milano, 17 febbraio 2016) pur non essendo necessario che il marchio medesimo sia conosciuto da una determinata percentuale del pubblico (cfr. Trib. Venezia, Sez. Spec. In materia di Impresa, n. 3012/16).

Nel caso di specie, nessun dubbio può esservi sulla rinomanza del marchio di cui si chiede la tutela.

A tal fine, parte attrice ha prodotto una ampia rassegna stampa (cfr. doc. 6 allegato al ricorso cautelare) nonchè varie campagne pubblicitarie (cfr. docc. da 18 a 36 allegati alla memoria n. 2 ex art. 183 c.p.c.) e ha altresì documentato gli investimenti pubblicitari posti in essere da Sportlab (doc. 7 allegato al ricorso cautelare e doc. 39-40 allegati alla memoria n. 2 ex art. 183 c.p.c.), che attestano la diffusione del marchio e dei prodotti che contraddistingue, nel territorio italiano.

La rinomanza del marchio azionato consente inoltre di godere di una tutela ultra-merceologica, ex art. 20, I comma, lett. c) C.P.I., e quindi piu’ intensa, che prescinde dalla mera identità dei segni o dall’affinità dei prodotti/servizi per cui i marchi sono stati registrati.

Passando alle domande svolte nell’odierno giudizio, l’art. 20 c.p.i., comma 1, lett. b) attribuisce infatti al titolare di un marchio registrato di farne uso esclusivo, vietando ai terzi, salvo il proprio consenso, di usare nella loro attività economica “un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”. Con riferimento alla tutela allargata dei marchi rinomati, la lett. c) dello stesso articolo vieta ai terzi non autorizzati l’uso di “un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e servizi, senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.

Previsione analoga si rinviene all’art. 9, Regolamento U.E. 2015/2424, che stabilisce che “la registrazione del marchio UE conferisce al titolare un diritto esclusivo. Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando: […] b) il segno è identico o simile al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e a servizi identici o simili ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato, se vi è rischio di confusione da parte del pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio”.

In particolare, in tali casi, il titolare del marchio contraffatto può, tra l’altro, “vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni o sugli imballaggi; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità” (art. 20, co. 2, c.p.i.).

Nel caso di specie è stato provato che la convenuta ha acquistato e commercializzato calzature recanti marchi identici a quelli attorei provenienti dal mercato extra-SEE.

Infatti, in sede cautelare e nel corso dell’espletamento della CTU svolta in corso di causa, è stata acquisita la prova dell’acquisto, da parte di Griffes, di calzature provenienti da V. R. LLC con sede in New Jersey-USA (cfr. docc. 9-10-11 allegati al ricorso cautelare) mediante almeno due forniture di cui:

– la prima di n. 116 paia di scarpe (fattura 18/2015 del 9.11.2015 consegnata dal signor C., legale rappresentante di Griffes, durante le operazioni di descrizione del 15.1.2016; cfr. pag. 6 CTU);

– la seconda di n. 117 paia di scarpe (come risulta da verbale di descrizione del 12.1.2016 presso Ufficio delle Dogane di Milano 3; cfr. pag. 6 CTU).

L’ordinanza resa a conclusione della fase cautelare ha poi autorizzato anche il sequestro dei prodotti fissando una somma a titolo di penale e disponeva la pubblicazione dell’epigrafe e del dispositivo del provvedimento su un quotidiano e su una rivista del settore, a cura di Sportlab ed a spese di Griffes: il provvedimento veniva notificato a Griffes il 1.3.2016 ed il sequestro eseguito in data 16.3.2016. All’esito dell’accesso, venivano sequestrate n. 26 paia di calzature.

In tale sede, si apprendeva che, nonostante l’ordine di inibitoria emesso, Griffes aveva continuato a vendere le calzature oggetto di lite (cfr. verbale di sequestro: doc. 38: “…. Il signor C. dichiara che le calzature sono rimaste in vendita attualmente esposte in banco espositivo e che recentemente sono state vendute”).

Ora, non essendo stato tale ingresso in Italia autorizzato nè dalla licenziataria del marchio odierna attrice nè dalla società statunitense titolare dei marchi e non facendo parte le società coinvolte della catena distributiva della titolare dei marchi, nè di Sportlab, è evidente che trattasi di importazione parallela dagli USA, non autorizzata e, quindi, illegittima.

A fronte del mancato consenso dell’attrice e della titolare del marchio, era onere della convenuta invocare eventualmente l’esaurimento come eccezione allo ius excludendi spettante al titolare del marchio: non costituendosi tuttavia la convenuta non ha assolto tale onere.

In ogni caso secondo un certo orientamento il principio dell’esaurimento opererebbe con riferimento esclusivo alle importazioni parallele intra-comunitarie e non potrebbe essere applicato per analogia a quelle extra-comunitarie che, pertanto, rimangono in ogni caso illegittime.

La suprema Corte ha infatti affermato che, anche in caso di operatività del principio dell’esaurimento del marchio “secondo l’orientamento accolto dalla giurisprudenza vuoi della Corte CE (sentenze 3 luglio 1974, causa Hag 1; 22 giugno 1976, causa Terrapin/Terranova; 17 ottobre 1990, causa Hag 2; 16 luglio 1998, causa Silhouette), vuoi di questa stessa Corte (Cass. n. 1 1603/1998, cit.), residua il potere del titolare del marchio, in quanto tale, di opporsi all’importazione di prodotti contrassegnati, anche legittimamente, con detto marchio, là dove essi provengano da un paese extracomunitario ed egli, o altri da lui legittimati, non abbiano consentito all’introduzione ulteriore di quei beni nel mercato europeo, senza che assuma alcun rilievo la circostanza di un eventuale, regolare sdoganamento dei prodotti medesimi in un paese dell’Unione Europea, risultando ciò del tutto ininfluente sul piano del diritto ad introdurre il prodotto in quel mercato nazionale” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 21/12/2007, n. 27081).

Deve quindi concludersi per l’avvenuta contraffazione, da parte della convenuta, del marchio di cui l’attrice è licenziataria esclusiva.

Con riferimento alla domanda relativa alla concorrenza sleale, si osserva che la prima delle ipotesi di cui all’art. 2598 c.c. attiene alla concorrenza sleale confusoria e concerne l’utilizzazione di segni distintivi confondibili con quelli legittimamente utilizzati da altri. Si ritiene comunemente che l’ampia dizione utilizzata per i segni distintivi oggetto di imitazione o usurpazione sia riferibile sia ai segni tipici che a quelli atipici. La norma in esame fa espressamente salve le disposizioni relative ai segni distintivi tipici, per cui si impone un coordinamento tra dette disposizioni e la tutela civilistica della concorrenza sleale. Il loro coordinamento richiede di individuare le condizioni necessarie per ciascuna delle due tutele e di verificare la possibilità del cumulo fra l’una e l’altra.

La concorde giurisprudenza di merito e di legittimità ha affermato la possibilità del cumulo, potendo la medesima situazione di fatto fondare entrambe le fattispecie quando ricorrano i presupposti di ciascuna e ciò anche in considerazione della valenza integrativa della disciplina della concorrenza sleale sul piano delle sanzioni.

Al riguardo, è noto il costante e maggioritario orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale “l’attività illecita, consistente nell’appropriazione o nella contraffazione di un marchio, mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente, può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti” (Cass., n. 8157/1992; conformi, Cass., n. 9728/1996; Cass., n. 9617/1998; Cass., n. 13168/2002; Cass., 16647/2008; Cass., n. 2473/2019).

Il Collegio, concorda con l’orientamento, appena richiamato, il quale ritiene che, a fronte della violazione di un diritto di privativa tipico, sia possibile accordare anche la tutela della concorrenza sleale, con la conseguenza che le due azioni, quindi, avendo natura e presupposti diversi, sono cumulabili nello stesso processo.

Nel caso di specie l’accertata attività contraffattiva integra anche la realizzazione delle condotte di concorrenza sleale ai danni dell’attrice, sotto vari profili:

– intanto sotto il profilo della confusione generata tra i prodotti offerti in vendita dalla convenuta e quelli di Sportlab (art. 2598 n. 1 c.c.), praticamente identici, e quindi idonea ad indurre in errore il consumatore circa la provenienza della calzature dalla legittima distributrice in Italia: i marchi apposti nelle calzature per cui è causa sono, infatti, identici a quelli apposti sulle calzature destinate al mercato italiano, sicchè il consumatore – non in grado di percepire le differenze tra i prodotti, anch’essi identici – sarà indotto a ritenere che quelle calzature, oltre che originali, siano legittimamente commercializzate in Italia. Viene pertanto vanificata la ratio del divieto posto dall’art. 2598 n. 1 c.c. è quello di salvaguardare la libertà di scelta dei consumatori;

– poi sotto il profilo dell’agganciamento dell’attività di Griffes con quella di Sportlab (art. 2598 n. 2 c.c.) con sfruttamento da parte del primo della rinomanza dei marchi illegittimamente immessi in commercio e, conseguentemente, di tutta l’attività e di tutti gli investimenti fatti da Sportlab per acquisire la propria clientela e per promuovere i propri prodotti e marchi;

– infine sotto il profilo della violazione dei principi di correttezza professionale, ex art. 2598, comma 3, c.c. atteso che con l’offerta in commercio di calzature contraffatte, riproducenti il segno azionato ed identiche nelle forme, nelle linee e nei colori ai prodotti originali, Griffes ha inteso approfittare dell’accreditamento sul mercato e delle potenzialità attrattive del prodotto oggetto di causa, senza però sostenerne i costi e riducendo al minimo il proprio rischio imprenditoriale.

Dev’essere quindi definitivamente inibito alla convenuta l’importazione, l’offerta in vendita, la commercializzazione nonchè l’uso in qualsiasi forma, anche nella comunicazione promozionale e pubblicitaria, dei prodotti recanti il marchio ‘SAUCONY’ nonchè del marchio stesso.

Deve altresì essere fissata una penale per ogni violazione all’ordine di inibitoria, da quantificare in euro 1.000,00 tenuto conto sia della notorietà del marchio leso, sia dell’atteggiamento della convenuta che ha dimostrato scarsa propensione all’ottemperanza ai provvedimenti giudiziari emessi a proprio carico.

Va altresì disposta la distruzione delle calzature oggetto di causa a spese e a carico di Griffes s.r.l..

Va poi riconosciuto il risarcimento del danno subito da parte attrice in conseguenza dell’attività illecita perpetrata dalla convenuta.

Quanto alla quantificazione dei danni, la CTU contabile disposta ed espletata dal dott. R.B. ha accertato che, in relazione alle n. 207 paia di calzature vendute dalla controparte, Sportlab ha patito un danno pari ad euro 3.919,56 per mancato guadagno e, di euro 1.751,09 per accertamento dell’illecito (cfr. relazione depositata p. 8 e 9): le spese legali e tecniche di giudizio che chiede parte attrice quale voce risarcitoria vanno riconosciute nell’ambito della quantificazione delle spese del giudizio.

Quanto al profilo del danno non patrimoniale da annacquamento del marchio (cd. dilution), la giurisprudenza ha riconosciuto che “lo svilimento del marchio è dovuto al suo offuscamento (dilution by tarnishing) e si verifica nei casi in cui l’uso del segno possa svalutare l’immagine o il prestigio acquisito presso il pubblico del marchio notorio, sia perchè il segno viene riprodotto in un contesto osceno, degradante o inappropriato, sia perchè, pur non ricorrendo tali ipotesi, il contesto nel quale viene inserito sia semplicemente incompatibile con una particolare immagine che il marchio anteriore ha acquisito agli occhi del pubblico in conseguenza degli sforzi impiegati dal suo titolare per promuoverla” (cfr. Trib. Bologna, 6 febbraio 2009): anche recentemente il danno da annacquamento è stato ancorato al profilo della “neutralizzazione” degli ingenti sforzi pubblicitari profusi dal titolare del marchio (cfr. Trib. Milano, Sez. Spec. In materia di Impresa, n. 7691/18) ed è riconosciuto quando venga “diluita” la capacità del segno di distinguere in esclusiva, agli occhi del pubblico, il prodotto come proveniente dalla impresa che ha registrato il marchio (cfr. Trib. Roma, Sez. Spec. In materia di Impresa, 1/8/2017).

Nel caso di specie, tale voce di danno va riconosciuta dato che la commercializzazione di calzature contraffatte con il marchio oggetto di causa crea senz’altro un dubbio circa la provenienza del prodotto dal circuito distributivo regolare anzichè da altri.

Parte attrice ne chiede il ristoro appellandosi ad una valutazione equitativa agganciata alle spese per gli investimenti pubblicitari sostenuti pari, nel solo biennio 2015-2016, ad euro 2.343.000,00 come anche attestato dal CTU (cfr. consulenza pag. 12 e doc. 39 di parte attrice).

Come già correttamente osservato in altri precedenti specifici (cfr. Trib. Venezia, Sez. Spec. In materia di Impresa, nn. 3012/16 e 1903/17, cit.) l’ammontare di dette spese concerne l’intero territorio nazionale e l’intera collezione, mentre non vi è prova che le condotte illecite oggetto del presente procedimento siano state parimenti diffuse: del resto atteso il numero di calzature immesse sul mercato e considerate tutte e circostanze del caso concreto, il pregiudizio economicamente apprezzabile – in termini di svilimento del marchio – può essere liquidato in via prudenziale in euro 10.000,00 (somma già rivalutata all’attualità), considerato che anche la pubblicazione della sentenza assolve ad una funzione riparatoria/risarcitoria in forma specifica dei danni già verificatesi, e ripristinatoria di una corretta informazione al mercato (Trib. Milano, Sez. Spec. In materia di Impresa, n. 7691/18, cit.).

Il risarcimento del danno da riconoscere è pari pertanto ad euro 15.670,65.

Su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della pronuncia al saldo.

Va infine disposta la pubblicazione ai sensi dell’art. 126 c.p.i. del dispositivo della sentenza a caratteri doppi del normale e con i nomi delle parti in grassetto, sui seguenti quotidiani: ‘Il Sole 24 Orè, ‘Il Gazzettino di Trevisò, ‘Il Corriere della Serà a tiratura nazionale per una settimana consecutiva, a cura dell’attrice ed a spese della convenuta e con obbligo della stessa a rimborsare immediatamente all’attrice le spese della pubblicazione

La condanna alle spese del procedimento, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza

Le spese di CTU vanno poste definitivamente a carico di parte convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando sulla domanda in epigrafe, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattese, così provvede:

– accoglie la domanda proposta da SPORTLAB S.R.L. e, per l’effetto, inibisce a GRIFFES S.R.L. ogni e qualsiasi forma di importazione, produzione, vendita, commercializzazione, pubblicizzazione, uso dei segni e prodotti recanti il marchio azionato in giudizio

– fissa in euro 1.000,00 la penale per ogni violazione all’ordine di inibitoria;

– visto l’art. 124, 3. comma, CPI, ordina a GRIFFES S.R.L., a proprie spese, la distruzione delle calzature oggetto di causa

– condanna GRIFFES S.R.L. al pagamento, in favore di SPORTLAB S.R.L. e a titolo di risarcimento del danno, della somma di euro 15.670,65 oltre interessi come precisati in motivazione;

– ordina la pubblicazione del dispositivo della sentenza a caratteri doppi del normale e con i nomi delle parti in grassetto, sui seguenti quotidiani: ‘Il Sole 24 Orè, ‘Il Gazzettino di Trevisò, ‘Il Corriere della Serà a tiratura nazionale per una settimana consecutiva, a cura dell’attrice ed a spese della convenuta e con obbligo della stessa a rimborsare immediatamente all’attrice le spese della pubblicazione

– condanna GRIFFES S.R.L. alla rifusione delle spese di giudizio sostenute da SPORTLAB S.R.L. che liquida in complessivi euro 12.000,00 per compenso professionale, oltre euro 1.036,00 per spese e oltre al rimborso forfettario delle spese generali e accessori come per legge

– pone definitivamente a carico di GRIFFES S.R.L. le spese di CTU.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 novembre 2020

Depositato in cancelleria il 23 novembre 2020

Presidente

Dott.ssa Claudia Pedrelli

Giudice

Dott. Fausto Basile

Giudice relatore

Dott.ssa Stefania Garrisi